Recensione in anteprima – Basato sul bestseller internazionale “Il Cerchio” di Dave Eggers, The Circle è un thriller moderno, ambientato in un futuro non distante. Ponsoldt dirige bene per buoni tratti del film ma alcuni temi son superati e altri si perdono in facili soluzioni. Al cinema dal 27 aprile.

Basato sul bestseller internazionale “Il Cerchio” di Dave Eggers, The Circle è un thriller moderno, ambientato in un futuro non distante, in cui la privacy è punita dalla legge e le persone devono costantemente chiedersi quale prezzo siano pronte a pagare per ottenere la conoscenza. Appena fa il suo ingresso nella più grande azienda di tecnologia e social media del mondo, The Circle, Mae (Emma Watson) è incoraggiata dal Fondatore della società Eamon Bailey (Tom Hanks) a rinunciare alla propria privacy e a vivere la sua vita in un regime di trasparenza assoluta. Ma nessuno è veramente al sicuro quando tutti hanno la possibilità di guardare.

“Il lancio social del film è esso stesso spiegazione e corollario all’argomento del film?”

Parafrasando una famosa frase pubblicitaria diventata ormai di uso comune il film vive dell’attesa per la trasposizione del romanzo bestseller e del suo lancio mediatico parlando di media, anzi di social.

Il cast, ben assortito, sembra un po’ lo specchio di una vita da star in un mondo social sempre più fagocitante della vita privata. Emma Watson, seguitissima sui social è stata l’attrice bambina caricata del peso della notorietà (la saga di Harry Potter) improvvisa e planetaria. Venerata da piccoli fan accaniti, si è districata e ha cercato di intraprendere nuove strade lasciandosi alle spalle quel facile e inaspettato successo.

Mae, il suo personaggio, questa volta fa il percorso inverso, dalla riservatezza di provincia, gelosamente custodita, alla notorietà sociale live. Protagonista in prima persona 24 ore al giorno, senza limiti, senza privacy. Ed è brava Emma Watson, regge il film sulle sue spalle più di quanto ci si aspetti. Senza grossi sbalzi creativi o performance da scene madre da’ credibilità al personaggio attraverso le sue mosse, i suoi atteggiamenti e quell’inspiegabile ma funzionale timidezza e insipidezza del volto “acqua e sapone”.

C’era molta curiosità nel vedere Tom Hanks nella parte di un guru dei social media. Nel film si fa un esplicito riferimento a una figura chiave della diffusione dell’informatica nelle nostre mani. Il personaggio di Tom Hanks ricorda molto, nelle movenze, nei road show, nel modo di approcciarsi al pubblico, il compianto Steve Jobs. La faccia pulita della manifestazione del progresso (in tasca). Tom Hanks mette il pilota automatico, si fa aspettare prima di arrivare in scena e fa esattamente quello che ci si aspetti faccia anche se la sua interpretazione non è sicuramente delle più memorabili.

Completano il cast John Boyega (“Star Wars: il risveglio della forza”), Karen Gillan (“Guardiani della Galassia Vol.2”) e Patton Oswalt. Tutti e tre relegati a ruoli di supporto e non gestiti egregiamente. Emblematico il caso di Kalden (John Boyega) che da principale co-ideatore della compagnia si autoeclissa in una sorta di inutile resistenza a ciò che di sbagliato sta portando avanti la politica di Bailey tutta incentrata al business e alla rinuncia alla privacy.

Il personaggio di Kalden come quello di Annie risultano sacrificati oltremodo da una sceneggiatura solida ma che privilegia un unico personaggio: la protagonista Mae. Risiede qui, infatti, il principale difetto del film: quasi a ricordarne il titolo, esiste una circolarità troppo evidente e, tra l’altro senza risposta, che parte da Mae e finisce sempre in lei girando attorno a due concetti fondamentali quali la privacy e la perdita della stessa in funzione di un’ipocrita e vouyeristica trasparenza.

Se pregi e difetti di questa perdita vengono inizialmente trattati con la giusta attenzione, nelle quasi due ore però vengono sviluppati solo dal lato “Mae”. Una trasparenza totale per lo spettatore nei confronti di Mae e una quasi totale assenza di approfondimento su tutte le implicazioni personali che vivono amici, parenti di Mae. C’è un accenno a tutto questo ma il punto di vista è sempre quello di Mae, in un era social, in un film che tratta di social media è, paradossalmente, limitante.

Come è chiaro il riferimento a Steve Jobs, è altresì chiaro il riferimento a Facebook riguardo alla struttura e alla potenziale presenza del social media nella vita di tutti. Per tutto l’intero film, si passa da utility e programmi innovativi che, purtroppo o per fortuna sono addirittura nostre realtà a un incremento sempre più allarmante, allucinante, angosciante delle funzionalità del social per renderlo sostitutivo di parlarmenti, referendum, e della vita sociale vera stessa. Il grande merito del film è dare allo spettatore grandi spunti di riflessione sull’utilizzo che le nuove (ma anche le vecchie generazioni) stanno facendo di questi strumenti di socializzazione che, partiti con tutti i buoni propositi di questo mondo si son sempre più presi possesso dei nostri tempi, dei nostri ritmi e dei nostri movimenti. Tutto viene deciso e implementato per migliorare la vita del cittadino ma a quale prezzo?

“The Circle” non risponde a questa domanda e si limita a farci vedere un social che sembra aver sconfitto tanti dei grandi problemi che, invece, i social di oggi hanno: trolls, haters, flames, bullismo, fake news, profili spam, furto dell’identità, ecc. Tutto questo non viene menzionato, ribadendo un limite del film stesso che, sicuramente non poteva parlare di tutto ma che nel personaggio di John Boyega e di Karen Gillan potevano essere sviluppati a dovere.

Un buon punto di partenza, una buona sceneggiatura, un giusto ritmo e una brava Emma Watson non bastano per un film dal quale ci si aspetta molto di più visti gli argomenti in ballo, anzi in circolo. L’impressione, finale soprattutto, è di un film che, in questo cerchio, non trovi poi una via d’uscita, rifugiandosi, metaforicamente e concretamente parlando, in una via d’uscita abbastanza banale.

Voto: 5,8

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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