Recensione in anteprima – A poche ore dal debutto internazionale al cinema ecco la nostra opinione sul live action tanto atteso dell’opera disegnata da Masamune Shirow. Azione ed effetti speciali immersi in una sceneggiatura che lascia qualche perplessità per l’abbondanza di spunti. Al cinema dal 30 marzo.

“Ghost in the Shell” è tratto dall’omonimo manga di ambientazione cyberpunk dell’artista Masamune Shirow. In un futuro non troppo lontano, il Major, un agente speciale, un ibrido tra cyborg e umano unico nel suo genere, è alla guida di un reparto speciale della polizia, la task force speciale Section 9, incaricato di sventare i piani dei più pericolosi criminali del mondo. Grazie alle sue capacità fuori del comune, Major è l’unica in grado di scovare e affrontare la nuova minaccia, un nemico capace di insinuarsi nelle menti cibernetiche fino ad assumerne il completo controllo. Mentre si prepara allo scontro, una terribile verità sul suo passato salta fuori e il cyborg sarà pronta a tutto per scoprire il mistero legato alla sua esistenza.

Dal manga originario sono stati tratti due film d’animazione di Mamoru Oshii, 3 serie tv, due special sempre per la tv, 3 videogiochi. A Rupert Sanders l’arduo compito di portare sul grande schermo l’opera di Masamune Shirow senza alterarne l’essenza e cercando di aggiornarlo alle esigenze degli spettatori del terzo millennio.

I primi 15 minuti, già visti qualche settimana fa (e da noi recensiti qui), promettono bene. In quelle prime scene c’è tutta la creazione di Mira (Major), da donna morente a fusione, la prima e più riuscita, tra un corpo totalmente meccanico e la sola mente umana priva, inizialmente, di ricordi. Il Maggiore Mira Killian Kusanagi, questo il nome completo della protagonista, è un’arma, non (solo) una persona a cui è stata prolungata la vita tramite un corpo artificiale. E’ chiaro ed esplicito fin dall’inizio. Quasi in modalità “Robocop”.

Passati quei 15 minuti o poco più il film lentamente si ridimensiona notevolmente e a nulla valgono alcune scene ben riuscite soprattutto a livello visivo e con un 3D che interviene in maniera massiccia per esaltarne le doti grafiche. Purtroppo però queste scene sono poche, non si innestano in un meccanismo compatto dove sceneggiatura, azione, scenografia, effetti speciali funzionano tutti verso lo stesso obiettivo.

Nel corso del film si hanno due impressioni poco gradevoli. La prima è costituita dallo squilibrio tra il parlare dell’anima (del Ghost) senza mai affrontare compiutamente e approfonditamente la questione e tutte le implicazioni di un’anima in un corpo artificiale. La seconda prende vita da ciò che invece vediamo e cioè dall’estremo sfruttamento di un impatto visivo di prim’ordine. La città che funga da sede delle attività criminali è sì giapponese ma prima di tutto è una città futurista ma non lontano dai nostri tempi con evidenti contaminazioni occidentali da renderla “globale”. Ricorda molto le atmosfere alla “Pacific Rim”, “Quinto Elemento”, che, ovviamente, a loro volta citano “Blade Runner”. Non c’è solo una scenografia curata, anche gli innesti robotici, Mira stessa e tutto ciò che vediamo in azione è rappresentato al meglio anche se non sempre il 3D è strettamente necessario.

Si avverte un po’ la mancanza del “Ghost”, dell’anima, mentre c’è tanto “Shell”. Una versione luminosa dei Borg di Star Trek che, forse appiattiscono troppo quelli che sono i lodevoli interrogativi di una società che si evolve, o meglio cambia, abbracciando l’elemento artificiale come naturale prolungamento o sostituzione del proprio corpo o di funzioni di esso.

Mi aspettavo un’atmosfera più da manga/anime, alla “Knight of Sydonia” nonostante il live action ed invece il film tradisce un po’ questa aspettativa e si avvicina a tratti a un videogioco o comunque a un thriller poco fantascientifico e molto poliziesco.

Si è discusso e polemizzato molto sulla presenza di Scarlett Johanson (ricordiamo che la prima scelta era stata Margot Robbie) nei panni di Mira/Motoko Kusanagi. Accusata, lei occidentale, di aver tolto un ruolo che doveva essere di un’orientale, giapponese, così da rispettare le origini del manga. Accuse stucchevoli rispedite al mittente con la corretta interpretazione della società futuristica giapponese narrata nell’opera e per questo fortemente globalizzata e ricca di elementi sia architettonici che umani provenienti da tutto il mondo. Scarlett Johanson appare in tutta la sua bellezza fisica, la bravura, quella, non è certo da questo genere di film e con questa dinamica che possiamo apprezzarla ma, alla fine, il ruolo affidatole non risulta sbagliato e la sua Mira/Motoko è quantomeno credibile.

“Ghost in the Shell” non è un film entusiasmante ma non è nemmeno un film da buttare. Poteva andare anche molto peggio e sicuramente ci si diverte, e si passano più di 100 minuti senza grossi problemi, solo a tratti si sente la fatica di una trama complicata da una serie di cripticità che non sempre incuriosiscono, anzi molto spesso infastidiscono. Alla fine il film si può vedere e forse può costituire un punto di partenza perchè si spera non sia solo un punto di arrivo, altrimenti ci sarebbero seri problemi per qualsiasi altro progetto che coinvolga il franchise.

Voto: 6,3

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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