Recensione – Jodie Foster dirige il suo quarto lungometraggio e lo fa contaminata nell’agire dalle due recenti regie su due famosi serial tv e dall’esperienza con Spike Lee in “Inside man”. Un film incalzante, non moderno nello svolgersi ma attualissimo nel messaggio.

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Lee Gates è il conduttore di uno show televisivo che si occupa di finanza, commenta l’andamento della borsa e consiglia investimenti, il tutto in un clima ridicolo e urlato, fatto di siparietti con le ballerine in paillettes e jingle al limite del volgare. In fondo, dei soldi che possono guadagnare o perdere i telespettatori, a Gates non importa niente. Almeno fino a quando un giovane investitore, Kyle Budwell, che ha perso tutto quello che aveva, irrompe in trasmissione, si barrica nello studio durante una diretta, gli punta una pistola alla testa e lo costringe dentro un gilet imbottito di esplosivo.

Esistono film che attirano dal trailer (molto spesso ingannatori), esistono film che si vanno a vedere al cinema solo per il cast, esistono film che attirano per la storia ed esistono film che meritano di essere visti grazie al passaparola o a una felice intuizione. “Money Monster” non è nessuno di questi, è un film sul quale, personalmente ero preparato a ritrovarmi deluso e invece, facendo eccezione per i primi 20 minuti il film attira l’attenzione del pubblico e sa giocare molto bene con un thriller un po’ particolare.

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Se la costruzione dell’intreccio è classico e non aggiunge nulla di nuovo ai film del genere, il ritmo però ricorda molto quell’ “Inside man” di Spike Lee che ha visto tra il cast la stessa Jodie Foster. Se, in quel film il racconto era un continuo flashback ricostruito grazie alle deposizioni degli indagati e dei testimoni, qui il tutto si svolge in diretta, quasi fosse un reality, quasi minuto su minuto alla “24” (la serie tv).

Ritmo incalzante, colonna sonora monotona ma mai invadente, qualche spiraglio di buon umore e di (in)volontaria battuta che serve a sdrammatizzare la situazione altrimenti tesa in maniera troppo snervante. Due attori che riempiono letteralmente la scena. A Julia Roberts e George Clooney vengono dedicati svariati primi piani per un personaggio interpretato da Clooney che sembra giggioneggiare inizialmente troppo un suo qualsiasi alter-ego per poi incanalarsi in binari ben precisi e in panni un po’ diversi dal solito.

Pare perfetta la scelta di Jodie Foster di affidare la regia televisiva nel film a Julia Roberts, pare un po’ meno felice l’approfondimento sull’attentatore che viene a volte perso di vista nella narrazione che si concentra molto sui due attori principali.

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Evidentemente sbilanciato sulla critica all’informazione che passa in tv piuttosto che sull’argomento principe e cioè la finanza e i suoi trucchetti, il film ha il pregio di spiegare in maniera semplice un meccanismo che (a detta degli esperti) è complicato. Forse in modo troppo semplicistico e semplificato (ma vero, dannatamente vero) si giunge alla spiegazione di quanto accade in finanza ricollegandosi all’incipit, anche questo vero in maniera cruda, della  natura dei soldi e del suo doversi muovere velocemente e sempre più velocemente.

“Money Monster” piace, ma lascia incompleti, disorientati e ripieni di spunti in poco meno di 100 minuti di film. Ispirandosi ai film “ricatto” quali “in linea con l’assassino” o “Desconocido” giusto per citare i primi due, cerca di riprendere in maniera elementare concetti propri de “La grande scommessa” per puntare però all’obiettivo principale: la disinformazione, l’illusione dell’informazione e dell’avere le notizie in mano manipolate dal piccolo schermo (in questo caso di un pc per le valutazione azionarie), in pratica una strizzata d’occhio a “Quarto potere”.

A metà film Lee lancia una proposta in tv ed è interessante più di quanto l’economia del film lascia intendere: la finanza non è forza di volontà e dire di più svelerebbe un finale prevedibile ma non scontato.

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“Money Monster” è anche critica alla spettacolarizzazione di tutto e di tutti senza curarsi del pericolo reale che la situazione rappresenta. La mancanza di filtro tra reale e finzione, tra ciò che si sta pericolosamente vivendo e ciò al quale si sta assistendo da spettatori e da attori. Una commistione di messaggi errati che sfocia in risate e balli fuori luogo e inappropriati.

Il film è tutto questo, molto di più, anzi troppo di più con una sceneggiatura a tratti geniale a tratti invece banale quasi fosse un’azione che va su e giù nella sua quotazione nei 100 minuti. Personalmente amo questo genere di film e questo non mi è dispiaciuto per nulla, sarebbe stata una grande sfida creare magari dei piano sequenza invece di continuare a rimarcare di avere una regia con diverse telecamere.

Voto: 6,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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