Recensione in anteprima – Presentato al Sundance Film Festival 2015 e alla Festa del cinema di Roma, il film ha riscosso successo di critica e pubblico in giro per il mondo. Un film teso, duro, riflessivo, aperto a spiragli di speranza e che racconta una delle tante, e importanti storie di violenza che il secondo conflitto mondiale ci lascia, purtroppo in eredità.

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Nei giorni che seguirono la resa della Germania alla fine della seconda guerra mondiale, gli alleati deportarono migliaia di soldati tedeschi con l’onere di sacrificarsi per riparare al danno inferto al mondo dal regime nazista. Molti di quei soldati non erano addestrati, ragazzi costretti a percorrere in lungo e in largo le coste occidentali danesi per disinnescare più di due milioni di mine; quelle che l’esercito di Hitler aveva posizionato in previsione di un ipotetico sbarco degli alleati. Una storia poco conosciuta, che Martin Zandvliet sceglie di raccontare con la voce di quattordici giovani costretti a muoversi carponi su spiagge assolate, affidando la vita alla capacità di un bastoncino di scendere quanto più possibile nelle profondità della sabbia umida, col sangue freddo di esperti artificieri.

Non è mai facile parlare della seconda guerra mondiale e ancora più difficile è parlare del periodo appena dopo la vittoria degli alleati. Intere terre che prima erano state dominate dai tedeschi vengono pian piano restituite al governo dei legittimi proprietari. Il passaggio non è semplice e, molte volte, e in alcune zone, lo stiamo ancora affrontando. Un passaggio a tratti repentino e violento, in altri casi solo pieno di odio, rancore e rassegnazione mista a tristezza per gli affetti perduti.

Land-of-Mine_2Zandvliet si concentra su una nazione, la Danimarca e pone la sua attenzione su una delle tante eredità del conflitto: le mine. Disseminate sulla costa dai tedeschi, i danesi pensano bene (per loro) di far bonificare il terreno a quelli che erano stati fino a pochi giorni fa i loro carnefici. Purtroppo, per i malcapitati ragazzi tedeschi prigionieri si tratta di aggiungere costrizione in tempo di guerra a costrizione in tempo di pace. Hitler infatti, essendo a corto di uomini per le pesanti perdite negli ultimi anni della guerra, istituisce una leva speciale chiamando alle armi anche ragazzi di appena 15 anni e, possiamo ben pensare anche dalle testimonianze arrivateci, che l’arruolamento fosse tutt’altro che volontario. Quegli stessi ragazzi sono ora costretti invece a rischiare la vita per colpe che non hanno, in barba alla convenzione di Ginevra del 1929 che obbligava i vincitori a non utilizzare i prigionieri per lavori di questo tipo, ufficialmente, agli occhi del mondo e della burocrazia danese e inglese questi ragazzi saranno invece considerati volontari.

Bag-om stills fra filmen Under Sandet/Land of Mine. Foto: Henrik Petit

Un doppio inganno, una doppia beffa, una doppia costrizione ben fotografata dal regista nelle espressioni impaurite, piene di smarrimento, fame e sonno dei 14 ragazzi. I primi piani dei giovani attori, tutti molto bravi, invecchiano nella fatica, nel dolore di veder saltare in aria un compagno, e si contrappongono al viso sempre pulito del sergente Carl che li ha in custodia e che diventa il loro carceriere pieno di odio che pian piano capisce che dietro quella forza lavoro tedesca vi sono delle vite, delle passioni, delle famiglie, persino dei lutti che la guerra ha creato portando via degli affetti.

Una sceneggiatura molto intensa con dialoghi serrati, da caserma all’aria aperta, da sguardi occhi negli occhi fino all’umiliazione. Un confronto tra l’odio covato per anni e l’innocenza di adolescenti che avevano la sola colpa di essere tedeschi. Un ribaltamento di situazioni poco conosciuto, prevedibilmente umano, dove il vincitore si fa prepotente verso il vinto che fino a poco prima rappresentava il suo aguzzino. Una circostanza troppo spesso e troppo a lungo insabbiata, coperta da quella sabbia che è anche simbolo, nel film, di camuffamento dell’odio esplosivo, della vicenda taciuta, dell’animo dei ragazzi costretto ad essere negato della libertà.

land-of-mine3“Land of mine” è un film da vedere, intenso, teso, profondo, con ottime interpretazioni, una buona sceneggiatura, un fotografia simbolica e uno stile impeccabile con solo qualche passaggio stucchevole e un po’ banale ma con una capacità di tenere incollato lo spettatore che si ritrova in pochi film di guerra. Anche se ambientato in tempo di pace, questo film è un film di guerra a tutti gli effetti.

Voto: 7,5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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