Recensione – E’ giunto nelle sale italiane il 4 febbraio scorso dopo più di un anno dall’uscita in america. Il titolo italiano non rende giustizia al titolo originale “A most violent year” ben più identificativo per un film che coinvolge, fa riflettere e fotografa magnificamente la lotta di un uomo in un ambiente violento, cinico, criminale.

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Inverno 1981, New York. Abel Morales è un intraprendente proprietario di un’azienda a conduzione familiare che tratta in olio combustibile. Da qualche tempo alcune sue cisterne vengono prese d’assalto da malviventi che le fanno sparire nel nulla con il loro carico. Ciò accade proprio mentre Abel sta per portare a termine l’acquisto di un deposito più grande che gli permetterebbe di compiere il salto in avanti professionale da sempre sognato. Deve trovare il denaro necessario per completare l’acquisizione e contemporaneamente un’indagine da lungo tempo avviata sulla sua attività sta per giungere a compimento con gravi capi di imputazione: Abel sa di essersi sempre comportato in modo corretto ma ora il tempo stringe e potrebbe essere tentato di cercare altre strade.

In questo caso non è possibile sorvolare sul titolo originale dell’opera. “A most violent year” fa esplicito riferimento a quel 1981 che, a New York, statistiche alla mano è ricordato come l’anno con il maggior numero di crimini e di violenza accertata. Non è un dettaglio da poco questo del titolo in inglese perché il film immerge lo spettatore in questa violenza sin dalle prime immagini. Non si tratta di immagini forti o cruente ma di informazioni attraverso la radio di crimini che vengono commessi in altre parti della città. Sarà un susseguirsi di informazioni di questo tipo portate abilmente sullo sfondo. Le sentiamo per radio, le vediamo e ascoltiamo tramite la tv, lo spettatore le percepisce dai discorsi in sottofondo delle comparse, dai dialoghi tra i protagonisti, dai volti preoccupati e tesi degli attori principali.

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J.C. Chandor, il regista, è abilissimo nel narrare la vicenda di un singolo imprenditore senza mai perdere di vista il contesto generale. Storia professionale personale di Abel (Oscar Isaac) e quadro generale di violenza si fondono ma si distinguono facendo risaltare un’ottima interpretazione proprio del protagonista Oscar Isaac. Anche il resto del cast si comporta egregiamente con una prova di Jessica Chastain, in particolare, perfetta nel ruolo di moglie, alter ego della paura del marito.

Il ritmo, abbastanza lento, non è certo il punto di forza di questo film che richiama vagamente atmosfere alla “Il Padrino” soprattutto nei dialoghi bui a due, senza ovviamente nemmeno avvicinarsi al capolavoro di Francis Ford Coppola. Una sceneggiatura puntuale, asciutta, ritmata da silenzi e dialoghi serrati e mai banali creano interesse nello spettatore che viene coinvolto emotivamente dalle decisioni che Abel deve intraprendere.

Abel impersona in un certo senso, quel sogno americano che, però in particolari e purtroppo frequenti occasioni deve scendere a patti, deve mediare con chi quel sogno vuole solo sfruttarlo. Abel però non solo non è debole pur apparendo impaurito, ma è sicuro dei suoi principi che decide volontariamente di mettere in discussione. Un ottimo personaggio che ci accompagna per tutto il film e che riesce a incastrarsi perfettamente con quanto viene creato attorno dal regista.

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Un ottimo film che, purtroppo è arrivato tardi in Italia e che rischia di passare inosservato ai più.

Voto: 7,7

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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