Recensione in anteprima – Un nuovo film sul fondatore della Apple Steve Jobs. Un’opera firmata da Danny Boyle e da una sceneggiatura sorprendente di Aaron Sorkin. Un’occasione mancata di rendere un buon film qualcosa di straordinario come straordinario è il suo protagonista ben interpretato da un ottimo Michael Fassbender. Al cinema dal 21 gennaio.

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E’ il 1984 e manca pochissimo al lancio del primo Macintosh. Poi sarà la volta del NeXT nel 1988 e del iMac nel ’98. Scortato dal suo braccio destro, la fedelissima Joanna Hoffman, nel backstage che muta col mutare dei decenni e dei costumi, Steve Jobs affronta gli imprevisti dell’ultimo minuto, immancabili contrattempi che si presentano sotto forma di esseri umani e rispondono al nome di Lisa, sua figlia, di Chrisann Brennan, la madre di Lisa, Steve Wozniak, il partner dei leggendari inizi nel garage di Los Altos, John Sculley, CEO Apple, Andy Hertzfeld, ingegnere del software.

Dopo il poco apprezzato dalla critica Jobs con Ashton Kutcher e regia di Joshua Michael Stern esce nei cinema italiani questo Steve Jobs sceneggiato da Aaron Sorkin e regia di Danny Boyle.Nei panni del geniale fondatore della Apple Michael Fassbender. Se Kutcher assomigliava a Steve Jobs nel primo periodo della sua carriera di imprenditore, il periodo del “garage” per intenderci, Fassbender assomiglia a Steve Jobs nel periodo post “garage”, quello conosciuto di più dal pubblico dei Road Show, o meglio dei Keynote in diretta.

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Il film aggiunge il nome Steve al titolo ma in realtà amplia il concetto di genio privandosi della retorica e dando più spazio al Jobs uomo con le sue nevrosi, con i suoi difetti, con il suo essere costretto ad avere successo anche quando in realtà ha appena fatto fiasco. Quello descritto da Boyle ma soprattutto da Aaron Sorkin è un Jobs cinico, determinato, con la situazione sempre sotto controllo anche quando il controllo evidentemente non può essere nelle sue mani. Una finta sicurezza, una chiara e studiata apparenza di incrollabile genio pronto sempre a estrarre il suo “coniglio elettronico dal cilindro” per far un passo avanti nella tecnica, nella tecnologia e nell’informatica.

La tecnica usata da Danny Boyle per la registrazione e la riproposizione sul grande schermo di tre momenti fondamentali della vita di Steve Jobs è originale e triplice. Affida una prima parte, le vicende del 1984 ad una registrazione in 16mm fortemente sgranata che fotografa perfettamente quell’epoca ormai lontana nel tempo. Al 1988 è affidato una più tradizionale pellicola 35mm e al 1998 invece la registrazione si fa digitale. Tre distinti momenti e tre distinte tecniche per evidenziare ancora di più il passaggio attraverso tre momenti fondamentali.

Molte delle scene sono riconducibili a soli tre o quattro ambienti che rendono il film fortemente legato al suo protagonista seguito dal primo all’ultimo minuto. Si è come su un palcoscenico senza le atmosfere e le inquadrature alla Birdman ma piuttosto come in una naturale voglia di giocare tra quanto deve apparire sul palco (“Say Hello” compreso) e quanto invece avviene dietro le quinte con uno Steve Jobs quasi incapace di avere rapporti sociali che non siano conflittuali con molti dei protagonisti della sua vita, moglie e figlia comprese.

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Ad accompagnare uno Steve Jobs in questi tre momenti c’è la sua assistente Joanna Hoffman, una strepitosa Kate Winslet meritatamente in corsa per l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Una Winslet che, come tutti gli attori in scena deve mantenere un ritmo serrato di battute come la brillante sceneggiatura impone. A tratti, a qualcuno potrà sembrare un film e una sceneggiatura logorroica ma è perfettamente incastrata nell’atmosfera del film e mantiene alto l’interesse del pubblico.

Steve Jobs è a tutt’oggi il miglior film sul genio fondatore della Apple (e della Pixar) che è stato prodotto. Un film intenso, verboso e molto verbale, incalzante e con una coppia di attori in forma smagliante.

Voto: 7,5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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