Burn After Reading, venerdì 16 ottobre 2015, Iris, 21.00.Film del giorno per la nostra redazione e doppia recensione, in una serata che vede tanto ottimo cinema in prima serata e in chiaro: Last Days di Gus Van Sant su Rai 4 e 21 grammi di Alejandro Inarritu su LaEffe. 

BURN AFTER READING

(id., USA, 2008)

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Commedia

Regia di Joel e Ethan Coen

Con: Brad Pitt, George Clooney, John Malkovich, Frances McDormand, Tilda Swinton, J.K. Simmons, Richard Jenkins, David Rasche, Kevin Sussman, David Huddleston

Durata: 97 minuti

Trama:

Un ex agente della CIA decide di scrivere le sue memorie dopo essere stato licenziato, ma il disco su cui ha conservato i dati finisce nelle mani di due uomini senza scrupoli. Credendo si tratti di documenti segreti, i due provano a rivendere le informazioni contenute nel disco per potersi pagare una serie di interventi di chirurgia plastica.

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RECENSIONE 1

A larghe falcate verso il vuoto. Non è nient’altro che questo Burn after reading – A prova di spia, l’ultimo film dei fratelli Coen che approda nelle sale italiane dopo aver aperto l’ultima edizione della kermesse veneziana. Siamo a un capolinea, o meglio, alla svolta al termine di un lungo filo rosso che percorre, nel bene e nel male, tutta l’opera dei due fratelli. Punti fondamentali di questo percorso Il Grande Lebowski, Fratello dove sei?, Non è un paese per vecchi e ora Burn after Reading.

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Se modernità è frantumarsi di ogni cosa, la sua poetica portante non può che essere quella del vuoto. È infatti il vuoto stesso ad essere andato in frantumi: non rimangono che cocci tutti sparsi attorno. I Coen questo lo sanno bene: e cosa sono in fondo i loro film migliori se non proprio questo, cioè una raccolta di cocci e di frantumi di vuoto nel tentativo (disperato?) di ricostruire quel vuoto? Siamo all’accumulo, alla giustapposizione: i generi sono scomparsi, la conseguenza logica sparita, una tragica casualità guida il disorientato manipolo di personaggi di turno.
Pensateci bene: Il grande Lebowski non è un noir, Fratello dove sei? non è una odissea epica, Non è un paese per vecchi non è un western e tantomeno un thriller. Al pari di questi Burn after reading non è un film di spionaggio. Eppure questi film sono tutti i generi che pretendono di essere. Ecco il paradosso. Più i Coen decostruiscono il genere, giustapponendo sempre in modo più rarefatto situazioni e personaggi, più il genere si auto-ricostruisce.
Siamo al gesto immediato e contemporaneo: la de-costruzione è già sempre ri-costruzione. Ma se è vero che Il grande Lebowski è un tipico noir chandleriano quanto Burn after reading è un classico film di spionaggio, è vero anche il contrario: lo sono perché finiscono per esserlo, ma in realtà non sono che fragili esoscheletri di quello che pretendono di essere, niente più della vecchia pelle viscida e trasparente lasciata da una larva pronta a cambiare stadio di crescitaIl genere auto-ri-costruito è vuoto, come vuoti sono i pezzi che lo compongono. Basti guardare i motivi che sono alla base dell’azione dei personaggi di Burn after reading: così come il Drugo si muove per un tappeto ne Il grande Lebowski, così Linda si muove per una plastica totale, Chad per una ricompensa, Cox per qualche pagina di autobiografia, Harry per soddisfazione sessuale, il gestore della palestra per apparire un uomo intraprendente e piacere a Linda. Non più interessi di stato, guerre imminenti, patriottismo, generosità, lealtà, ideali, dovere come nelle vecchie spy story da guerra fredda.
È l’ennesimo riflesso, quello di Burn after Reading, di una società sempre più vuota, disperata, patetica; società che, una volta persi quei valori su cui fondava la propria esistenza si è rifugiata in quello che poteva, prendendo quello che trovava dal futile che il consumismo ha iniziato ad accumulare intorno a sé. Si cerca sempre più, dagli anni novanta in poi (e non è un caso che Il Grande Lebowski ne sia il simbolo ideale, nonché vero e proprio film culto di quegli anni) di riempire quel vuoto con altro vuoto.
Quel vuoto è stato definitivamente frantumato dall’attacco alle torri gemelle: la gente, persa nuovamente, si è messa a cercare quei cocci di vuoto e di rimetterli insieme, faticosamente. L’amara battuta/confessione registica che chiude il film (“Abbiamo imparato a non farlo più: ma che cosa abbiamo fatto?” pronunciata dal capo della Cia alla fine della storia) rispecchia la condizione disperata di una società sempre più alla deriva di se stessa, disorientata e sempre più insicura psicologicamente. In questa crisi di nervi perennemente sull’orlo di un confine senza fine c’è tutta la cifra di una contemporaneità sempre più vicina alla dissolvenza. Rispetto agli anni ‘90 del Drugo, perfino la narrazione (che pure continuava ad esserci, nonostante la linearità scomposta e costruita per giustapposizione) si fa più rarefatta fino a culminare nella candida ammissione che in realtà non si sa cosa sia stato fatto. Ecco il punto di svolta: dopo c’è solo l’ignoto.
Si ride tanto nell’ultimo film dei Coen: ma è riso amaro, che fa apparire in controluce tutta la disperazione di una umanità frustrata che ha perso definitivamente la speranza lanciandosi a capofitto contro ogni luce che brilla nel buio, finendo come la falena, irrimediabilmente bruciata.

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RECENSIONE 2

E’ sorprendente la capacità rigenerativa del cinema coeniano. Proprio nel momento in cui molti li davano per finiti, dopo due opere “minori” come il buon Prima ti sposo, poi ti rovino e il mezzo flop Ladykillers, i due cineasti di Minneapolis hanno tirato fuori uno dei loro film migliori, No country for old men, e subito dopo, questo Burn After Reading, un grande ritorno alla commedia nera che, come sempre nel loro caso, prevede una raffinatissima contaminazione del genere.
Giunti al tredicesimo lungometraggio, appare ormai evidente che il cinema di Joel e Ethan Coen sia fortemente Autoriale, e, probabilmente, sono tra i pochissimi autori radicali di Hollywood. Il loro è un cinema sempre uguale e sempre diverso a se stesso: infatti, togliendo alcune incursioni sui generi(s), le tematiche toccate dai Coen ritornano sempre, e, volendo, potremmo brutalizzare la loro opera, riassumendola in un concetto-base, ovvero, che essi guardano con disillusione e nera ironia all’uomo che corre verso il nulla, il quale non sa che il suo percorso fatale è stato già segnato da Caso/Caos che domina il mondo. E, allora, cosa rende diversi i film dei Coen se, sotto sotto, assistiamo alla ripetizione di un medesimo messaggio? La risposta è semplice: i Coen sono perfettamente consapevoli dei mezzi a loro disposizione e dell’operazione che stanno, di volta in volta, per intraprendere, e il loro interesse principale sta nel “come” si guarda a una realtà sempre uguale, ma diversificando le prospettive. Da sublimi ri-costruttori di generi quali sono, i Coen, compongono un altro tassello del mosaico sulla società contemporanea, mettendo in scena l’ennesima, crudele, commedia umana.
I protagonisti di questa commedia sono interpretati da un cast in gran forma, tutti bravissimi nel rendere le diverse variazioni della stupidità. George Clooney gigioneggia in libertà con un personaggio fissato col sesso e paranoico; Brad Pitt ha il ruolo più divertente, forse perchè Chad è il più stupido (o semplicemente il più ingenuo); Tilda Swinton rifà se stessa mentre è stato bellissimo rivedere la mitica Francis McDormand e il sempre grande John Malkovich; menzione speciale per il tenero personaggio interpretato da Richard “Nathaniel, vecchio bastardo” Jenkins, volto noto per i fans di “Six feet under”.

Burn After Reading parte come un film di spionaggio: un agente della CIA viene licenziato, e, quasi per ripicca, decide di scrivere uno scottante memoriale. Tali memorie, messe in un cd-rom, finiscono per caso nelle mani di due istruttori di palestra: Chad, col culto del fitness, e Linda decisissima a sottoporsi a un intervento multiplo di chirurgia estetica. I due colleghi tenteranno di estorcere del denaro a Os, ma niente filerà per il verso giusto…sebbene Linda riuscirà a ottenere i soldi per il suo intervento. Attorno a questo nucleo centrale, orbitano una serie di personaggi, destinati a scontrarsi fra loro. Il film funziona come una bomba a orologeria, costruito su una sceneggiatura di ferro, che esplode con piccole detonazioni di violenza improvvisa. L’insensatezza sta alla base degli eventi del film, che si susseguono così, senza una motivazione precisa, se non per l’inettitudine dei protagonisti. Lo sguardo dei registi è gelido, tagliente, così distaccato che la prima parte del film si fatica a seguirla. Nel secondo tempo, il film si trasforma in un inconsulto gioco al massacro, condito da un’ironia nerissima che non lascia scampo. Non v’è pietà per i personaggi, manca del tutto l’humanitas. Forse, per i Coen, questa umanità non se la merita. (recensione di Giuseppe Gangi alias Noodles)

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