Recensione in anteprima – Venezia 72 (2015) – Fuori concorso – Film d’apertura della 72esima Mostra del Cinema di Venezia. Un film definito d’altri tempi per argomento, modo di trattarlo e metodologie di ripresa. Sulla vetta più alta del mondo va in scena il dramma delle spedizioni del 1996 e il risultato se non perfetto è sicuramente spettacolare.

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Qualche volta per scrivere un articolo, per mantenere una promessa, per ispirare i più giovani, per combattere la depressione, per arricchirsi, per accumulare obiettivi, per alimentare il proprio sogno e realizzare quello degli altri si è disposti a tutto, anche a scalare l’Everest. Al confine tra Cina e Nepal, la vetta è la meta di un gruppo eterogeneo che ha deciso di affidarsi a Rob Hall e alla sua società, l’Adventure Consultants, per tentare l’impresa. Rob è sposato con Jan e in attesa di una figlia che sogna di cullare in fondo alla discesa. Ma le cose si complicano presto perché il campo base è affollato da dilettanti e da altre spedizioni commerciali gestite da Scott Fischer, alpinista col vizio dell’alcol. Rob e Scott trovano però ragione e modo di collaborare e il 10 maggio 1996 partono alla volta della vetta alta 8.848 metri. La scarsa preparazione dei clienti, combinata all’approssimazione organizzativa, ritarda la salita dei due gruppi. Nondimeno alcuni di loro toccheranno con mano la vetta a fianco di Rob, sempre generoso coi suoi clienti. Poi una tempesta improvvisa si solleva, soffiando sulla discesa e sul destino degli uomini.

Everest di Baltasàr Kormàkur fuori concorso apre ufficialmente la 72esima mostra del cinema di Venezia. Il regista islandese ha il difficile compito di replicare il successo di critica, premi e pubblico di film come Gravity e Birdman presentati anch’essi a Venezia e poi capaci di vincere svariati Oscar. L’effetto, lo diciamo subito, non si ripete. Malgrado i bei paesaggi himalayani mescolati con le riprese sulle Dolomiti e in studio a Cinecittà e a Londra siano spettacolari con l’aggiunta di un 3D che da’ profondità all’immagine il film scorre via nelle due ore circa di proiezione senza affondare il colpo e rimanere impresso nei cuori.

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E’ un film molto di testa che ha il pregio di porre la montagna al centro della vicenda e vera protagonista dell’azione. Una montagna da rispettare, simbolo di una natura da che deve essere salvaguardata e che ha nelle sue caratteristiche una potenza incontrollabile all’uomo e spesso devastante. Tratto da una storia vera, il film ripercorre quell’anno, il 1996 in cui successe la tragedia a monito delle sempre più frequenti spedizioni turistiche che poco avevano a che fare con l’alpinismo e il rispetto della montagna che ogni persona con un minimo di esperienza di trekking ha.

Dal punto di vista della regia, questa si sviluppa molto grazie alle panoramiche e alle riprese dall’alto della montagna e della natura che sta attorno, il bel colpo d’occhio attrae e affascina ma si ferma tutto lì. Infatti se nella prima parte questo volteggiare con la videocamera è costruttivo e ben inserito nella vicenda, nella seconda scompare per riapparire a tratti. Capiamo bene che continui campi lunghi sulla natura sarebbero stati più da documentario che da lungometraggio ma la sensazione che rimane è quella che vede apparire la sceneggiatura quando la regia scompare e viceversa.

Una prima parte debole di sceneggiatura, troppo lunga e semplicistica si alterna con una seconda parte meno dinamica e molto più intima dove le parole e qualche approfondimento di sceneggiatura in più si fanno largo nel delineare emozioni e sensazioni dei vari personaggi.

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Purtroppo tutti i personaggi sono poco approfonditi e gli unici che possono vantare un minimo di approfondimento delle situazioni affettive sono i personaggi interpretati da Jason Clarke e Josh Brolin, di cui almeno sappiamo qualcosa di più di una semplice presentazione di 10 secondi. Loro sono gli indiscussi protagonisti del film se si eccettua la montagna ovviamente e il re del red carpet Jake Gyllenhaal è relegato a un personaggio poco più che comparsa un po’ come lo sono gli altri a cominciare dalle moglie Emily Watson e Keira Knightley che sono sì determinanti nella vicenda ma alle quali viene lasciato poco spazio.

In definitiva un cast stellare poco sfruttato o, almeno che non è stato messo nella posizione di presentare tutto il talento e questo per un regista è un difetto di non poco conto per scalare la montagna dei consensi di pubblico e critica.

Voto: 6,6

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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