Recensione – Sophie (Emma Stone) è una chiaroveggente, Stanley (Colin Firth) è un prestigiatore di grande fama convinto di poter smascherare la truffa di Sophie. Woody Allen scrive e dirige una commedia con il suo consueto stile virando questa volta sul romanticismo e sulla lotta interiore (poteva mancare?) tra razionalità e sentimento.

magic-in-the-moonlight-1Berlino 1928 – Il noto mago Wei Ling Soo sta presentando i suoi trucchi e le sue magie ad un pubblico sempre più sbalordito e affascinato. Sotto le vesti di questo mago dall’aspetto cinese si cela Stanley Crawford (Colin Firth), londinese e artista di indiscusso successo. Howard il suo amico e collega di poco talento fa sapere a Stanley che una certa Sophie Baker (Emma Stone) riesce a leggere il pensiero, a mettersi in contatto con l’aldilà e pubblicizza le sue doti da chiaroveggente. Howard invita Stanley a provare a smascherare questa Sophie dato che lui non ci è riuscito. I due partono per la Costa Azzurra dove la giovane chiaroveggente è ospite di una ricca famiglia grazie alle sue continue sedute spiritiche che permettono alla vedova di comunicare con il proprio marito defunto da anni.

Stanley e Sophie si conoscono, passano del tempo assieme e Stanley sembra vacillare dal suo podio di razionalità sul quale si è sempre issato smascherando i più diversi truffatori. Da lì in poi dopo vari colpi di scena più o meno riusciti si giunge al finale: i titoli di coda, giusto per non rovinare la sorpresa con questa recensione.

cdn.indiewire.comTitoli di testa, svolgimento, titoli di coda. Tutto come sempre è in perfetto stile Allen sin dall’inizio, da quelle scritte bianche centrali su sfondo nero. Titoli di testa quantomeno coerenti anche per altri registi quando si affronta una vicenda ambientata a fine anni ’20 del secolo scorso. Quando si va a recensire un film di Woody Allen, considerato da molti giustamente uno dei maestri della cinematografia mondiale, non è mai facile. Ci si trova a confrontare il film con la variegata e immensa cinematografia del regista che, non priva di successi di dubbio gusto (To Rome with Love, giusto per citare uno degli ultimi) annovera grandi successi di pubblico e critica. Facendo la tara a queste considerazioni, il film Magic in the moonlight è ben confezionato, una sorta di pasticcino che ha tutti gli ingredienti tipici di Allen.

I colori vivi della natura esaltati da una puntuale scenografia bucolica fanno da sfondo e talvolta son protagonisti di una vicenda che prende spunto dal teatro (tracce di “Spirito allegro” di Coward si notano qua e là), si sviluppa con situazioni e scene tipicamente teatrali nei colloqui tra le quattro mura e finisce nella “soluzione del caso” che pare un colpo di scena ma colpo di scena, a pensarci bene poi non è. Colin Firth è l’attore scelto per interpretare un personaggio razionale ed arrogante, molto british nel suo porsi con le persone soprattutto quando si parla di sentimenti passati presenti e futuri. E’ quasi perfetto e veicola i pensieri di Allen, la verbosità dei suoi tipici dialoghi via via sempre più introspettivi e analitici. Sempre più a fondo e sempre più pieno di domande e risposte automatiche ed autonome. Emma Stone è bella, brava, graziosa, solare e amante della vita tanto quanto è interessata all’occulto e alla vita nell’aldilà. Non vi è dubbio che questi due attori siano stati scelti per essere perfetti per i ruoli che Allen aveva in mente e plasmati proprio per far intendere la sua presenza nella vicenda anche rimanendo dietro la macchina da presa.

Magic-In-The-Moonlight-Emma-Stone-Colin-Firth-Foto-Dal-Film-03C’è da fare qualche appunto allo scorrere della vicenda stessa invece, benché gli ingredienti siano gli stessi di altri film del regista, il modo di “cuocere” il tutto e di “impiattare” è riuscito solo in parte. Ne rimane un “retrogusto” di un film carino, divertente, ben fatto, impeccabile nei dialoghi e nelle scenografie, senza fronzoli o virtusismi della macchina da presa ma con movimenti classici e tipici delle inquadrature. Ciò che manca è un certo equilibrio e interesse nella parte centrale. Sì son quasi pronto a dire che tra il primo terzo e l’ultimo terzo di film, il film si perde nella descrizione di scene alquanto noiose e forse, noiose solo perché unite insieme come una sorta di carrellata di scene ripetute e solo abbozzate.

Magic in the moonlight se da una parte non è sicuramente uno dei film più riusciti di Woody Allen, dall’altra è un film che si lascia vedere e la vicenda è sviluppata bene. L’attenzione ai particolari c’è tutta nel ricreare la Francia degli anni venti, persino l’uso di certi termine che possono apparire moderni ma che invece esistevano già a quell’epoca. Una piccola sbavatura si registra nel riflesso dei pannelli per la luce sui parafanghi dell’auto di Stanley, ma è un particolare minimo che non inficia tutta la vicenda fatta di lotta del protagonista tra raziocinio e sentimento, tra testa e cuore.

Voto: 6,5

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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