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Le intermittenze della morte

Produttore: Arcadia Productions

Genere: Fantastico

Regia: Roman Polanski

Cast: Keira Knightley, Christoph Waltz, Helen Mirren, François Cluzet, Jean-Louis Trintignant, Iain Glen, Peter O’Toole, Ben Whishaw, Armin Mueller-Stahl, Virginie Ledoyen, Julie Christie, Michael Nyqvist, Natassia Malthe, Mads Mikkelsen, Udo Kier, Unax Ugalde, Lèa Seydoux, Maximilian Schell, Valentina Cortese, Luigi Maria Burruano, Yorgo Voyagis

Trama: Un paese senza nome, 31 dicembre, scocca la mezzanotte. E arriva l’eternità, nella forma più semplice: nessuno muore più. La gioia è grande, la massima angoscia dell’umanità sembra sgominata per sempre. Ma non è tutto così semplice: chi sulla morte faceva affari per esempio perde la sua fonte di reddito. E cosa ne sarà della chiesa, ora che non c’è più uno spauracchio e non serve più nessuna resurrezione? I problemi sono tanti e complessi. Ma la morte dopo sette mesi annuncia, con una lettera scritta a mano, affidata a una busta viola e diretta ai media, che sta per riprendere il suo usuale lavoro. Da lì in poi le lettere viola partono con cadenza regolare. Ma un violoncellista, dopo che la lettera a lui indirizzata è stata rinviata al mittente per tre volte, costringe la morte a bussare alla sua porta per consegnarla di persona.

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Recensione: (di Clint94)

In linea con i precedenti film della Arcadia Productions, anche “Le intermittenze della morte” è una pellicola difficile da giudicare. Il soggetto di base è molto originale e interessante, ricco di spunti: in una città non collocabile nello spazio e nel tempo la morte cessa di svolgere il suo compito; ne nascono dilemmi morali e conseguenze essenzialmente negative, perché i vecchi e i malati sono destinati a soffrire in eterno, certi lavoratori (in particolare nel settore funebre) non possono più tirare avanti, la mafia assume il controllo di un nuovo business che consiste nel portare chi vuole morire al di là dei confini della città, la criminalità dilaga, la Chiesa non sa più dare risposte. Insomma, si viene a creare un quadro terribile, a dimostrazione di quanto la morte sia fondamentale nel dare un ordine e di fatto un senso alla vita; ci si rende dunque conto di quanto essa sia necessaria alla vita. La situazione cambia quando la morte ritorna a farsi viva, comunicando che rientrerà presto in attività mediante l’eliminazione di tutti coloro che sarebbero dovuti morire nel periodo in cui è rimasta inattiva e dichiarando che d’ora in avanti coloro che sono destinati a morire prima di fare il gran salto riceveranno una busta viola. La seconda parte del film si incentra così sulla figura della morte e su quella di un violoncellista, la cui busta, per qualche motivo inspiegabile (e che non viene mai spiegato), ritorna sempre al mittente; a causa di questo “ritardo” del decesso dell’uomo, la morte, per chiarire la situazione, decide di andare a trovarlo direttamente. Si viene a creare così un rapporto strano e interessante tra la morte, nei panni di una giovane donna, e questo anziano violoncellista, uomo solitario, gentile e sostanzialmente buono, capace di far perfino commuovere la morte grazie alla sua abilità nel suonare il violino. La relazione fra questi due personaggi è assai enigmatica: lei sa tutto di lui, mentre lui ovviamente non sa nulla di lei; lei dovrebbe far morire lui, ma ne è in qualche modo attratta e non si decide a portare a termine il suo compito. Nel finale la morte rinuncerà definitivamente al suo incarico bruciando la busta destinata al violoncellista.
Il film, di stampo riflessivo e filosofico, affronta tematiche importanti ed è popolato da una miriade di personaggi (di fatto è un film corale, almeno per tutta la prima metà). Quello che ho pensato durante e dopo la lettura, però, è che mi sembrava tutto tranne che un film. Il numero di personaggi che compaiono e scompaiono nel giro di poco tempo, i dialoghi così ricercati (e un po’ troppo letterari; spesso tra l’altro mancano le pause, ci sono solo virgole senza punti: lo so che è lo stile di Saramago, ma in una sceneggiatura i dialoghi dovrebbero rispecchiare il modo in cui li si pronuncia, e così sembra che i personaggi quando parlano non facciano mai pause), il ritmo lento, il tono filosofico, l’assenza di una struttura unitaria, la netta divisione in due parti (prima e dopo la comparsa della morte), l’atmosfera indefinita, la presenza di figure irreali e simboliche (tipo lo spirito dell’acqua): tutte queste cose non sono difetti, ma se sommati danno l’impressione di trovarsi davanti a qualcosa di raffinato, ricercato, interessante, ma che non è un film; qualcosa che non funzionerebbe su uno schermo, al cinema. Ovviamente questo dipende dal libro di Saramago: è una storia davvero poco cinematografica, probabilmente impossibile da trasporre, qualcosa che non può funzionare al cinema.
Il cast è molto variegato ed è formato da molti attori di nazionalità diverse (inglesi, austriaci, tedeschi, norvegesi, svedesi, francesi, spagnoli, italiani), forse per dare un senso di universalità alla storia raccontata e all’ambientazione (?), dal momento che la città dove si svolge la storia è un luogo indefinito e senza nome. Molti restano in scena pochissimi minuti e alcuni sono abbastanza sprecati (Mueller-Stahl, Schell, Mikkelsen, la Christie); su tutti spiccano naturalmente Keira Knightley e Christoph Waltz, protagonisti assoluti dell’ultima parte del film. Keira è convincente nella parte della morte e Waltz lo è ancor di più, interpretando il personaggio più riuscito del film. Enigmatica la presenza di Helen Mirren, che non si vede mai (si poteva anche fare a meno di prenderla, credo) e si limita a prestare la voce alla falce; ma anche il ruolo della falce, strumento e braccio destro della morte, non è facile da decifrare.
Roman Polanski alla regia mi sembra una buona scelta, anche perché non era facile trovare un regista adatto a un film di questo tipo.
In conclusione, “Le intermittenze della morte” è un film che mi ha spiazzato e che faccio fatica a giudicare: da un lato sono apprezzabili l’originalità della storia e gli spunti di riflessione sulla vita e sulla morte (penso al discorso sull’esistenza di diversi tipo di morte), e il rapporto tra la morte e il violoncellista descritto nella parte finale è particolare e interessante; dall’altro devo dire di aver fatto fatica a immaginare le scene e di fatto trovo che la storia nell’insieme non si presti a essere vista sul grande schermo né quindi a essere letta sotto forma di film virtuale, perché è, come dire, troppo lontana dalle regole della narrazione cinematografica, troppo letteraria.

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Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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