Al centro dello schermo appaiono in dissolvenza dei cerchi che si fondono tra di loro.
Una luce abbagliante parte dai cerchi, quindi appare la figura della chimera, seguita poco dopo da un’altra luce bianca che riempie lo schermo.

Lo schermo torna nero.
Appare dopo qualche secondo una bussola, inquadrata molto da vicino. Intorno a essa si vede un cielo stellato.
L’ago punta verso nord e oscilla rapidamente a destra e a sinistra. Poi si blocca improvvisamente sul nord e lentamente comincia a ruotare in senso orario.
Man mano che si sposta, l’ago scopre l’immagine di una baia notturna. Compiuto un giro intero, l’ago scompare.
La N di nord esce dalla bussola, andando a posizionarsi oltre il bordo. Contemporaneamente il cielo stellato svanisce lasciando al suo posto un semplice sfondo bianco.
Partendo dalla N e girando intorno all’immagine della baia notturna, compaiono allora una alla volta le lettere che compongono la scritta “Nightbay Studios”, completando così il logo della famosa casa di produzione.

Dissolvenza in nero.

Sentiamo in sottofondo “Sad Violin”

Con lo schermo ancora nero iniziamo a udire il rumore della pioggia.
Compaiono le immagini e vediamo il particolare di una scarpa da uomo che entra in una pozzanghera, sollevando diversi schizzi di acqua sporca e fangosa.
Lo sguardo della MdP si alza e va a seguire l’uomo a cui appartiene quella scarpa.
Sta camminando sotto la pioggia a passo spedito, avvolto in un mantello che ci nasconde quasi interamente la sua figura.
Intorno a lui vediamo una città di inizio ‘900, che dà l’impressione di non essere né una metropoli, né un piccolo paese.

In sovrimpressione compare una scritta:

“Arkham, Massachusetts. 20 febbraio 1931”

L’uomo, che continuiamo a seguire alle spalle, percorre una strada in selciato, per poi svoltare a destra e trovarsi di fronte un grande edificio circondato da un alto muro in mattoni.
L’uomo si ferma davanti al grande cancello di ferro e rimane in attesa.

Dopo qualche secondo compare dall’altra parte un infermiere, al riparo di un ombrello. Cerca di identificare l’uomo all’esterno

INFERMIERE
Professor Dyer… Prego, entrate.

L’infermiere apre il cancello, permettendo all’uomo di entrare.
Primo piano del professor Dyer (Interpretato da Tom Cruise): ha una barba folta ma curata e i capelli lunghi e raccolti indietro.

Dyer entra nel giardino e segue l’infermiere verso l’edificio.

DYER
Come sta oggi?

INFERMIERE
Non bene. Peggiora sempre, quando piove, nevica o è anche solo nuvoloso. E’ come di notte… Sembra abbia paura dell’oscurità.

Dyer annuisce.

DYER
Ne avrebbe anche lei, al suo posto.

L’infermiere guarda il professore senza capire, ma non dice nulla.
Lo accompagna invece all’interno dell’edificio, il quale ci appare del tutto simile a un ospedale.

Capiamo che si tratta di un manicomio quando vediamo alcuni dei pazienti, persi con lo sguardo nel vuoto o in preda a deliri che esternano con versi lamentosi.

Dyer non sembra farci caso. Evidentemente ha già visitato altre volte il luogo.

Seguiamo i due uomini lungo un corridoio lugubre, finchè non arriviamo a una porta davanti a cui si fermano.

Come se fosse un’abitudine ormai consolidata, l’infermiere apre lo spioncino che permette di guardare all’interno, dopodiché lascia Dyer da solo.

Dyer prende un lungo respiro, come per darsi coraggio, poi fa due passi avanti e si affaccia allo spioncino.

Soggettiva di Dyer attraverso il pertugio: vediamo una stanza dalle pareti imbottite, illuminata da tre finestre posizionate in prossimità del soffitto, a un’altezza tale che un uomo non potrebbe raggiungere; al centro della stanza seduto sul pavimento, vediamo un uomo immobilizzato da una camicia di forza; l’uomo ci dà le spalle e non riusciamo a vederne che la nuca, su cui i capelli lunghi, sporchi e spettinati cadono a ciocche; dondola avanti e indietro, salmodiando una litania a malapena udibile.

UOMO
L’abisso nero, gli occhi nel buio, il male cosmico, la città cadavere, l’eterno immortale… Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl Cthulhu fhtagn…

Dettaglio degli occhi di Dyer, attraverso lo spioncino.

VFC (UOMO)
Non è morto ciò che in eterno può attendere.

Di nuovo soggettiva di Dyer: l’uomo prosegue nei suoi deliri.

UOMO
Arrivano… Arrivano… Arrivano…

Smette di colpo, sia di salmodiare che di dondolare.
Lo osserviamo per qualche secondo così, immobile. Poi all’improvviso si gira nella nostra direzione, di scatto, gli occhi spiritati rivolti verso la MdP.

Ma è solo una frazione di secondo e non riusciamo a distinguere i tratti del volto.

Stacco.

Sullo schermo appaiono i titoli di testa, scritte bianche che si formano e vengono portate via dal passaggio di una raffica di vento, come fossero fatte di neve.

Un film di
Guillermo Del Toro

LE MONTAGNE DELLA FOLLIA

Con
Tom Cruise
Sean Bean
Jeremy Renner
Haley Joey Osment
David Strathairn
William Mapother
Jackie Earl Haley

Sceneggiatura
Andrea Carbone
Enrico Delorenzi

Casting
Andrea Carbone
Enrico Delorenzi

Tratto da un racconto di
Howard Philip Lovecraft

Prodotto da
Chimera Films
Nightbay Studios

La musica sfuma.

Scena 1 (Esterno, giorno. Oceano)

La telecamera inquadra dall’alto due navi, che procedono a breve distanza l’una dall’altra.
Compare una scritta in sovrimpressione: “Circolo polare antartico, sei mesi prima”.
Seguiamo le navi per qualche secondo, poi le immagini vanno ad inquadrare la prua di una delle due. Leggiamo il nome: “
Arkham“.
Stacco.

Scena 2 (Interno, giorno. Stiva)

Vediamo il professor Dyer aggirarsi in mezzo a diversi mucchi di grandi casse. Lo troviamo leggermente più in carne rispetto a prima, la barba e i capelli più disordinati, un’aria più colorita. Pare che stia controllando la loro stabilità e allo stesso tempo il loro numero, come se stesse facendo un inventario.
Fuori campo sentiamo il rumore di passi su scale metalliche.
La telecamera va ad inquadrare la porta della stiva, dalla quale entra un altro uomo (Interpretato da Jackie Earl Haley), dal cui abbigliamento possiamo intuire che si tratti del capitano della nave.

CAPITANO
Professor Dyer… Cosa sta facendo quaggiù?

DYER
Stavo controllando che fosse tutto a posto. Sa, abbiamo delle apparecchiature molto delicate.

Il capitano si guarda un po’ intorno.

CAPITANO
Non per farmi gli affari vostri professore, ma cosa ci andate a fare voi e i vostri amici in quella terra dimenticata da Dio?

DYER
L’obiettivo della nostra spedizione, capitano, è di estrarre campioni di roccia e di terreno. Anche qualche fossile, se ne avremo la possibilità.

CAPITANO
E che ve ne fate?

DYER
La storia delle forme di vita primitive può aiutarci moltissimo per conoscere il passato della terra.

Fa una pausa e intanto continua a camminare tra le casse.

DYER
L’Antartide si trovava un tempo in una zona temperata e ricca di vita, lo sa?

Si china a leggere l’etichetta di una cassa, poi prosegue oltre.

DYER
Nel nostro campo questa è una cosa risaputa. La nostra speranza è di arricchire le informazioni già in nostro possesso con nuove scoperte.

Il capitano scruta con espressione indagatrice il professore.

CAPITANO
Oggi però l’Antartide è ricoperta da uno strato di ghiaccio, probabilmente spesso diversi metri. Come farete a estrarre rocce e fossili?

Il professor Dyer sorride al capitano.

DYER
Il professor Pabodie, della facoltà di ingegneria, ha messo a punto una macchina in grado di compiere questo lavoro. Combina il normale principio dello scavo artesiano con quello della piccola perforazione circolare, in modo da poter affrontare strati rocciosi di varia durezza.

Dyer si sposta verso una cassa e vi posa una mano sopra. Evidentemente è la cassa che contiene la macchina di cui sta parlando.

DYER
Testa d’acciaio, alberi giuntati, motore a benzina, torre di legno smontabile, esplosivi, cavi, trivelle allungabili per buchi larghi fino a dodici centimetri e profondi fino a trecento metri: tutto questo in un carico che può essere trasportato da tre slitte a sette cani. Una meraviglia della tecnica, capitano. 

Il capitano non sembra molto convinto, e neppure a dire il vero particolarmente interessato alle parole del professore. Svia perciò il discorso.

CAPITANO
Le faccio la domanda che mi preme di più, professore. Quanto avete intenzione di trattenervi?

DYER
Contiamo di finire il nostro lavoro entro marzo. Se dovessimo incontrare delle difficoltà, la nostra intenzione é di passare l’inverno sull’
Arkham e di inviare la Miskatonic a nord per procurarci altre provviste prima che il mare ghiacci. Concluderemo poi il lavoro nei primi mesi della prossima estate.

CAPITANO
Spero proprio che riusciate a terminare entro marzo. L’inverno può essere davvero molto lungo, a queste latitudini…

DYER (sorridendo)
Lo spero vivamente anch’io, capitano.

Stacco.

Scena 3 (Esterno, giorno. Ponte della nave)

Le immagini si spostano sul ponte della nave, dove vediamo due uomini appoggiati alla balaustra, coperti da pesanti cappotti per ripararsi dal freddo. Stanno osservando il mare.

La telecamera segue la direzione del loro sguardo e ci mostra un grande iceberg in lontananza.

Stacco di nuovo sui due uomini, e primo piano del primo (interpretato da Jeremy Renner).

UOMO (Jeremy Renner)
Atwood…

L’altro (Interpretato da Sean Bean) si gira a guardarlo. Ha capelli e barba folti e disordinati, sta fumando una sigaretta.

UOMO
Hai visto quell’iceberg? E’ enorme.

Atwood lancia un’occhiata al gigantesco blocco di ghiaccio.

ATWOOD
E’ davvero impressionante, Pabodie.

PABODIE
Lo è, se pensi che i nove decimi del suo volume sono sommersi e che in superficie emerge solo quel restante decimo.

ATWOOD
Esatto. Potrei dartene anche la dimostrazione scientifica. E’ pura questione di fisica.

PABODIE
Devo averlo studiato, anni fa.

ATWOOD
Ma non ero io il tuo professore… Ricorderesti la formula, altrimenti.

I due uomini sorridono e tornano a guardare l’oceano.

ATWOOD
Il capitano ha detto che presto potremmo trovare dei banchi di ghiaccio. Speriamo che non rallentino la nostra marcia.

PABODIE
Sei ansioso anche tu di metterti al lavoro, eh?

ATWOOD
Sì, il viaggio è stato lungo e noioso. Ho voglia di darmi un po’ da fare. Pensi che possa davvero esserci utile quella macchina che hai messo a punto?

PABODIE
Lo sarà senz’altro. Vedrai che estrarrà materiali molto interessanti.

ATWOOD
Dyer ne è entusiasta.

PABODIE
Mai quanto Lake. Non vede l’ora di studiare i fossili che riusciremo a trovare.

ATWOOD
Lo immagino. Sono mesi che parla di questa spedizione.

Una forte raffica di vento li fa rabbrividire.

PABODIE
Mi perdonerai, io scendo sottocoperta. Si gela qui…

ATWOOD
Ti seguo. Ma preparati a temperature anche peggiori.

Pabodie gli lancia un’occhiata quasi disperata e si allontana dalla balaustra. Atwood sorride e lo imita.

Stacco.

Scena 4 (Esterno, giorno. Isola di Ross)

Vengono inquadrate le due navi, ancorate al largo di una costa ghiacciata.
Ci avviciniamo alla costa e vediamo diverse barche cariche di casse ed imballaggi dirigersi verso di essa. Tra gli uomini al loro interno riconosciamo Dyer (Tom Cruise), Pabodie (Jeremy Renner) e Atwood (Sean Bean). Sono insieme ad un altro uomo (Interpretato da David Strathairn).

UOMO (rivolto ad Dyer)
Come ci terremo in contatto con l’
Arkham?

DYER
Abbiamo tre radiotrasmittenti portatili, Lake. La nave ha un ricevitore molto potente e dovrebbe captare il nostro segnale in qualunque parte del continente ci dovessimo venire a trovare. In più ci sono le radio degli aerei.

PABODIE
Assemblare gli aerei è la prima cosa che dobbiamo fare. E’ un lavoro lungo e va fatto in modo accurato.

ATWOOD
Li utilizzeremo tutti e cinque per le esplorazioni?

DYER
No, uno rimarrà qui nell’isola di Ross. Se qualcuno degli altri dovesse guastarsi durante un’esplorazione potremo comunicarlo alla nave e farci inviare quello di scorta come soccorso.

LAKE
Quindi sarà qui che avremo il campo base, immagino.

DYER
No. Lo stanzieremo sul ghiacciaio di Beardmore. E’ un altipiano che si adatta perfettamente al nostro scopo. Qui lasceremo solo un piccolo accampamento.

Le barche raggiungono la riva e i quattro uomini scendono a terra. Lo stesso fanno gli altri membri della spedizione (una trentina di persone), i quali cominciano subito a scaricare l’attrezzatura.

Il vento freddo si fa sentire soffiando e fischiando.

ATWOOD
Forza, vediamo di sbrigarci. Ho voglia di fare alcune fotografie aeree.

Detto questo, prende alcuni sacchi e li scarica dalla barca. Gli altri tre sorridono e cominciano anche loro a darsi da fare.

LAKE
Io invece ho voglia di accendere un bel fuoco e di scaldarmi un po’. Ho le ossa completamente ghiacciate.

PABODIE
Non sollevare carichi troppo pesanti, allora. Ti si potrebbero spezzare come quelle di un canarino…

Lake e Dyer ridono.

La telecamera compie uno zoom in allontanamento, poi si volta ad inquadrare l’entroterra. In lontananza si scorgono le vette di un’alta catena montuosa. Mentre le immagini stringono verso quel punto, il fischio del vento si trasforma in un qualcosa che sembra un lamento. E’ solo un breve momento, poi torna come prima.

Primo piano di Dyer, il quale ha rivolto l’attenzione in quella direzione. Il suo volto è accigliato, come se non fosse sicuro di aver udito realmente qualcosa.

Inquadratura di nuovo delle montagne.

Dissolvenza incrociata.

Scena 5 (Esterno, giorno. Isola di Ross e Ghiacciaio Beardmore) 

Sentiamo in sottofondo “Elegie” (Secret Garden)

Mentre si sentono le note del brano, scorrono diverse immagini: vediamo gli uomini della spedizione montare il campo, assemblare i cinque grandi aeroplani, trasportare con le barche altro materiale dalle due navi e caricarlo sugli aerei; vediamo un paio di essi decollare e sorvolare un altipiano su cui si stende una vastissima distesa ghiacciata, poi li vediamo atterrare; altri uomini, tra cui Dyer, Lake, Atwood e Pabodie, scaricano le attrezzature; vediamo infine, sul termine della musica, l’allestimento del campo base.

Stacco.

Ci troviamo dentro una tenda, dove gli uomini che abbiamo visto fin’ora sono radunati attorno a un tavolino, immersi in una partita a Poker.
E notte e l’ambiente è illuminato da una lampada fissata in alto.
Atwood sta dando le carte, con una sigaretta tra le labbra e un ghigno sul volto.
Pabodie afferra le sue carte, pare deluso.

DYER
Non prendertela, anch’io sarei andato a vedere.

Lake sghignazza tra sé, afferrando le sue carte.
Pabodie fissa con rabbia Atwood, puntandogli contro il dito.

PABODIE
Non mi sfilerai altri soldi, è una promessa e che una bufera di neve possa investirci se non sarà così!

ATWOOD (agli altri)
Fossi in voi preparerei i cappotti.

Dyer scoppia a ridere, seguito a ruota dagli altri.
Anche Pabodie si lascia sfuggire un sorriso, spostando poi alcune monete al centro del tavolo.
Atwood inizia a contare le sue monete.

ATWOOD
Che vi dicevo? Rilancio.

La mdp inquadra la tenda dall’esterno, in campo lungo.
Sentiamo fuori campo delle risate, che si mescolano al rumore del vento.

Dissolvenza.

Scena 6 (Esterno, giorno. Zona scavi)

La telecamera inquadra una torretta in legno e metallo dotata di trivella. Sta perforando il ghiaccio e tramite un sistema di cavi e cinghie porta in superficie detriti e campioni di terreno.
Attorno alla torretta troviamo una decina di uomini al lavoro. A dirigere le operazioni vediamo Pabodie.

Stacco su di lui. Appare molto concentrato e osserva tutto con grande attenzione.

Accanto a lui c’è un ragazzo (Interpretato da Haley Joel Osment). Ha una grande chioma di capelli biondi arruffati e un filo di barba incolta. Sta scrivendo qualcosa su un foglio di carta, quasi come se prendesse appunti.

PABODIE (rivolto al ragazzo)
Danforth, a che peso siamo arrivati?

DANFORTH (alzando il capo dai fogli)
Con la giornata di ieri abbiamo estratto un totale di 55 tonnellate di materiale, professore.

PABODIE
Mi sembra che la media giornaliera sia costante…

DANFORTH
Sì. Tralasciando la prima settimana, in cui gli operai hanno dovuto organizzare il lavoro e imparare a utilizzare la macchina, ci siamo assestati su una media di quattro tonnellate al giorno.

PABODIE
Su un terreno ghiacciato come questo è una cifra decisamente accettabile.

DANFORTH
E’ più che accettabile, professore. I dati della spedizione Ross-Nolan di due anni fa riportavano due tonnellate e mezzo di campioni estratti al giorno. Senza contare che il terreno su cui lavoravano aveva una composizione più friabile rispetto a questa. La sua macchina ha praticamente raddoppiato la produttività, professor Pabodie.

Pabodie sorride, lusingato.

PABODIE
Sì, la macchina funziona bene. Ma dobbiamo ancora testarne la resistenza sulla lunga durata. Temo possa avere problemi alle pulegge e alla trivella, con un uso intensivo come questo.

DANFORTH
Forse si può istituire un turno serale per la manutenzione dell’attrezzatura. In questa maniera si dovrebbe rimediare ad alcuni deterioramenti. Potremmo così prolungare l’attività ed evitare spiacevoli arresti nella produzione.

Pabodie solleva un sopracciglio.

PABODIE
Ottima idea, Danforth. Dal mio miglior studente non mi aspetto diversamente, del resto…

DANFORTH (imbarazzato)
Grazie, professore.

Si avvicina un operaio (Interpretato da William Mapother) con una grossa scatola in mano.

OPERAIO
Qui ci sono i fossili che abbiamo raccolto stamattina, professore. Li abbiamo già separati dai normali campioni di roccia.

Pabodie lancia un’occhiata alla scatola, ne esamina brevemente il contenuto, poi fa un cenno all’uomo.

PABODIE
Benissimo Daniels. Portali al professor Lake.

L’operaio annuisce e sale su una slitta, appoggiando la scatola dietro di sé. Urla qualcosa ai cani e questi partono, trainando la slitta.

La telecamera lo guarda allontanarsi.

Stacco.

Scena 7 (Interno, giorno. Campo base, tenda di Lake)

Siamo all’interno di una tenda. La telecamera inquadra una branda, una lampada ad olio fissata ad un palo, poi un tavolo da lavoro ingombro di pietre e reperti di ogni tipo, disseminati disordinatamente su tutto il piano.

Seduto ad un altro tavolo, su cui sono posate varie attrezzature da laboratorio, vediamo Lake, intento ad analizzare un fossile.

Dopo qualche secondo entra l’operaio, con la scatola che abbiamo visto poco fa.

DANIELS
Professore…

LAKE
Ah, grazie. Appoggia pure lì.

Indica uno spazio libero sul tavolo su cui sta lavorando. Daniels fa come gli è stato ordinato e poi se ne va.

Lake si alza e dà un’occhiata al contenuto della scatola: ci sono diversi fossili, che suddivide sul ripiano secondo una classificazione che non ci è dato capire. Si blocca però quando ne nota uno molto particolare, che lo porta ad avvicinarsi alla luce per esaminarlo meglio.

Un’inquadratura ravvicinata ci permette di notare che si tratta di un frammento di ardesia del diametro di circa mezzo metro, sul quale è impressa una strana impronta triangolare più o meno delle stesse dimensioni.

Primo piano del volto perplesso di Lake.

Stacco.

Scena 8 (Esterno, giorno. Campo base)

Siamo sempre al campo base. Dyer e Hatwood stanno dirigendo alcune operazioni di smontaggio.

Arriva Lake, in tutta fretta, dirigendosi verso i due.

LAKE
Dyer, ti devo parlare.

DYER
Dimmi Lake. Cosa c’è?

LAKE
Dovete interrompere quello che state facendo. Non dobbiamo spostarci a est, ma ad ovest.

ATWOOD
Cosa? Ma sei ammattito?

LAKE
Tutt’altro.

DYER
Lake, è già un mese che scaviamo in questa zona e ora dobbiamo spostarci a est, come avevamo preventivato. Lo sai che abbiamo i tempi molto stretti… Presto arriverà l’inverno e non vogliamo trascorrerlo qui.

LAKE
Lo so, ma guarda questo.

Estrae da sotto il giubbotto il fossile che abbiamo visto poco fa e lo mostra agli altri due.

LAKE
Me l’ha portato Daniels poco fa. Viene da quegli scavi che stiamo compiendo nella zona ad ovest, quella dove c’è anche Pabodie.

ATWOOD
Ma che cos’è?

LAKE
Non lo so! Sembra un’impronta, ma non capisco a quale essere possa appartenere. Deve trattarsi di un organismo imponente, ma completamente sconosciuto, inclassificabile. Non ne sono certo, ma…

L’uomo interrompe a metà la frase, scrollando il capo, come se negare qualcosa a se stesso.

DYER
E tu ritieni che dovremmo rivoluzionare i nostri programmi per questa?

LAKE
Dyer… Questa roccia appartiene al periodo Cambriano, o addirittura ad un’epoca anteriore. A quei tempi non esistevano forme di vita superiori al livello unicellulare! E’ una scoperta straordinaria!

Dyer si volta verso Atwood, ora interessato alla questione. I due si scambiano un cenno di assenso.

Dyer torna a rivolgersi a Lake.

DYER
Vediamo cosa si può fare.

Primo piano di Lake, riconoscente.

Stacco.

Scena 9 (Esterno, giorno. Campo base)

Sentiamo in sottofondo “Elegie” (Secret Garden)

E’ inquadrato uno degli aeroplani che ha il motore acceso.
Un uomo vi sta salendo sopra, e un altro dietro di lui sta salendo la scaletta.

Lake indossa un grosso zaino e sta dicendo qualcosa a Pabodie, che noi non sentiamo a causa del rumore dell’aereo.
Il primo sembra indicargli una direzione verso le montagne, poi i due si salutano con una stretta di mano.

Lake sale quindi per la scaletta, entrando nell’aereo, seguito poi da altri due uomini.

La MdP segue l’aereo che parte e si innalza, scomparendo poi oltre la coltre di nebbia che ricopre le montagne.

Stacco.

SCENA 10 (Interno, notte. Tenda dormitorio)

Dyer è seduto a un tavolino, si trova dentro una tenda che funge da dormitorio e area di ristoro.
Alcuni uomini sono coricati su delle brandine.

Atwood è seduto con lui e quest’ultimo è alle prese con una radio.
L’accende, tendendo le orecchie.

Dalla radio viene fuori un rumore di interferenze, ma subito dopo si rendere udibile una voce. E’ quella di Lake.

LAKE DALLA RADIO
10:05 p.m. In volo. Dopo una tempesta di neve abbiamo avvistato una catena di montagne più alta di tutte quelle viste finora. Considerata l’altezza dell’altipiano, forse eguagliano l’Himalaya. Probabile latitudine 76° 15′, longitudine 113° 10′ Est. Si estende a perdita d’occhio a sinistra e a destra. Sospettiamo l’esistenza di due vulcani attivi. Le vette sono nere e senza neve. Il vento che soffia dalle montagne ostacola la navigazione.

Qualche attimo di silenzio.

DYER
E’ tutto?

ATWOOD
No, dovrebbero essercene degli altri.

Atwood ruota una manopola e udiamo ancora la voce di Lake.

Altri uomini incuriositi si avvicinano per ascoltare.

LAKE DALLA RADIO
Aereo di Moulton costretto ad atterrare su altipiano ai piedi delle montagne; nessun ferito, probabilmente riusciranno a ripararlo. Trasferiremo materiale essenziale su altri tre e ce ne serviremo per il ritorno o altre ricognizioni: al momento non sono necessari grandi spostamenti. Le montagne superano qualunque immaginazione. Mi accingo a un volo d’esplorazione sull’aereo di Carroll, liberato di tutto il materiale. Non potete immaginare niente del genere. Le vette più alte devono superare i diecimila metri: Everest battuto.

Lake e Atwood si guardano sorpresi. Un lampo d’eccitazione appare sul loro volto, quasi increduli per la straordinaria scoperta del loro compagno di viaggio.

LAKE ALLA RADIO
Daniels incaricato di calcolare altezze con teodolite mentre Carroll e io andiamo su. Forse ci sbagliavamo sui vulcani, perché sembrano formazioni stratificate. Probabilmente si tratta di ardesia pre-cambrica con altri strati mescolati. Profilo della catena molto singolare: intorno alle cime più alte sembra di vedere formazioni cubiche. Spettacolo meraviglioso alla luce rosso-oro del sole basso. Sembra la terra del mistero in un sogno, o l’ingresso a un mondo proibito di meraviglie sconosciute. Vorrei che foste qui per studiarle con noi.

Primo piano di Dyer, che ascolta scambiando un’occhiata con Atwood.

ATWOOD
Dici che dovremmo raggiungerlo?

DYER
Ancora è presto per dirlo. Sarà meglio andare a letto adesso.

Dissolvenza.

SCENA 11 (Esterno, giorno. Campo di Lake)

Primo piano di Lake, che è al riparo dietro un cumulo di neve.
Con sguardo concentrato si volta verso Daniels accanto a sé, il quale in risposta preme un pulsante su una scatola.

Subito dopo sentiamo un’esplosione poco distante e una pioggia di neve investe i due.

Lake si alza ed esce dal riparo, seguito da Daniels e dagli altri uomini.

Si avvicinano alla zona che hanno fatto saltare in aria.

Con una visuale dall’alto, notiamo un foro irregolare di circa due metri sul manto nevoso.
La mdp si avvicina al foro, in contemporanea a Lake che si sporge per guardare, rivelandoci l’ingresso di una cavità sotterranea.

Stacco.

SCENA 12 (Interno, giorno. Grotta)

Sentiamo in sottofondo “The Genesis Touch” (Hyperborea).

Degli stivali toccano pesantemente un pavimento ghiacciato.
La mdp risale verso l’alto, a inquadrare le gambe e poi il busto di Lake, che sta slegando la corda con la quale si è calato attraverso il foro.

La corda viene recuperata dall’alto.

VOCE DANIELS (dall’alto)
Professore, aspetti, scendo con lei!

Lake non risponde, è troppo impegnato a guardarsi attorno.

La caverna è alta circa tre metri, ma l’area si estende in profondità per decine e decine di metri.

Dal soffitto pendono stalattiti mentre dal pavimento si innalzano stalagmiti di svariate dimensioni.

Alcune molto grandi arrivano fino al soffitto, a formare una sorta di colonne.

Lake accende la torcia elettrica, muovendo i primi passi.

La luce puntata su una parete ghiacciata, rivela al suo interno alcuni crostacei di grandi dimensioni.
L’uomo gli passa una mano sopra, poi prosegue.
Si china per osservare meglio alcune forme sul pavimento, dove sembra esserci il fossile di un grosso pesce.

Primo piano del suo volto incredulo.

Stacco.

SCENA 13 (Esterno, giorno. Campo di Dyer)

Continuiamo a sentire la musica in sottofondo, ma più bassa.
Dyer, Pabodie e Atwood sono da soli dentro la tenda, attorno al tavolo sul quale è posata la radio.
Atwood sorride ai due.

ATWOOD
Dovete ascoltare questa.

Dalla radio viene fuori la voce di Lake.

LAKE DALLA RADIO (voce eccitata)
Non crederete a quello che abbiamo scoperto. Mio dio, non mi basterà un anno per classificarli tutti.
Durante gli scavi abbiamo trovato una grotta, doveva essere in passato un punto di confluenza di più fiumi sotterranei, una sorta di bacino e contiene fossili sorprendenti. Abbiamo trovato in perfetto stato gusci, ossa di ganoidi e placodermi, resti di labirintodonti e tecodonti,  frammenti del teschio di un grande mesosauro, vertebre di un dinosauro e corazze di altri animali.

Stacco.

Continuiamo a sentire la voce di Lake alla radio, mentre le immagini riprendono le operazioni effettuate dal suo gruppo nella grotta.
Alcuni uomini stanno estraendo con dei martelli alcune rocce con dei fossili.

LAKE RADIO
Per non parlare dei denti di uno pterodattilo e alle ossa delle relative ali, i frammenti di archeopterix, i denti di squali del Miocene, primitive teste d’uccello, scheletri, vertebre e altre ossa di mammiferi arcaici quali paleoteri, xifodonti, dinocerasi, eoippi, oredonti e titanoteri. Non c’è traccia di bestie più recenti come mastodonti, elefanti, cammelli, cervi o qualche bovino. Questo mi fa credere che il deposito risalga all’Oligocene, e che la caverna sia rimasto nel suo attuale stato inaccessibile, morta ed essiccata per almeno trenta milioni di anni.
Cosa state aspettando a raggiungerci?

Stacco.

Torniamo all’accampamento di Dyer, che alza il capo guardando i colleghi.
Un sorriso nel suo volto.

DYER
Avete sentito? Cosa aspettiamo?

Anche gli altri sorridono.

Stacco.

SCENA 14 (Grotta – Luce torcia)

Continuiamo a sentire la musica in sottofondo, che si alza notevolmente di volume.

Lake è dentro un cunicolo della grotta, si china per passare a causa di alcune stalattiti che restringono il passaggio.

La torcia illumina l’ambiente che va diventando via via più scuro.

Dopo un breve tragitto si trova in una cavità dal soffitto più alto. Non ci sono stalattiti né stalagmiti e le pareti sono piuttosto lisce e regolari.

Primo piano dell’uomo che cammina guardandosi intorno e avvicinandosi alle pareti.
La sua espressione subisce un mutamento, diventa infatti sorpresa.

Osserviamo anche noi la parete illuminata dalla torcia.
Oltre lo stato di ghiaccio è distinguibile un corpo scuro, grosso come una botte, con numerose diramazioni simili a tentacoli. Il ghiaccio impedisce però di osservarlo nei dettagli.

Lake spalanca la bocca per lo stupore.

La sua torcia si sposta a illuminare anche le altre pareti: altre figure simili alla prima sono dietro il ghiaccio, ognuna di queste in un lato della caverna, tutte nella stessa posizione.

Fine musica.

Stacco.

SCENA 15 (Esterno, sera. Campo di Dyer)

Vediamo Dyer uscire da una tenda. Lo seguiamo mentre si avvicina a uno degli aeroplani, dove si trovano Atwood e Pabodie.
Quest’ultimo sta supervisionando gli operai intenti a caricare diverse attrezzature sul velivolo, mentre Atwood sta scrutando il cielo preoccupato.

ATWOOD (a Dyer)
Sei sicuro di voler raggiungere Lake? Potremmo incontrare una tempesta, sulla nostra strada.

DYER (annuendo)
In quel caso atterreremo e aspetteremo che le raffiche di vento si calmino. Dobbiamo concentrare le nostre risorse in una sola direzione e alla luce delle scoperte di Lake credo che la scelta migliore sia quella di spostarci a ovest, verso il suo accampamento.

PABODIE
Hai avvertito il capitano della
Arkham?

DYER
Sì. Gli ho detto di scaricare dalle navi il più possibile e di mandarlo alla nuova base. Avremo bisogno di tutti i rifornimenti che riusciremo a ottenere.

ATWOOD
Altri dispacci da Lake?

DYER
Nessuno, ma non mi preoccuperei più di tanto. Conoscendolo si sarà chiuso nella tenda a suddividere e classificare le specie che ha trovato nella grotta.

PABODIE (sorridendo)
Scommetto un dollaro che stanotte non chiuderà occhio.

ATWOOD
Ah, è una scommessa che puoi già considerare vinta… Quando partiamo, Dyer?

DYER
Domattina all’alba, direi. Se davvero rischiamo di incontrare una tempesta preferisco volare alla luce del giorno.

PABODIE
Io preferirei non volare affatto, ma se proprio devo preferisco anch’io vedere dove sto andando.

ATWOOD
Già. Considerando poi che ci addentreremo in un territorio inesplorato, è decisamente meglio così.

DYER
E deciso, dunque. Ora andate a riposare. Domani sarà una giornata molto faticosa.

Atwood e Pabodie annuiscono.

Dissolvenza incrociata.

SCENA 16 (Esterno, giorno. Aeroplano)

Le immagini sullo schermo sono disturbate da una forte tempesta di neve, ma si riesce a vedere nell’inquadratura un aereo in volo. E’ in evidente difficoltà, visto il maltempo.

Stacco all’interno dell’aereo, dove troviamo una decina di persone tra cui Dyer, Atwood e Pabodie. Sono tutti in silenzio, preoccupati per la pericolosa traversata.

Primo piano di Danforth.
Sta guardando fuori dal finestrino. Sul suo volto appare un’espressione sorpresa e immediatamente attira l’attenzione di Dyer.

DANFORTH
Professore!

Pabodie si volta verso di lui.

PABODIE
Cosa succede, Danforth?

DANFORTH
Venga a vedere.

Pabodie si alza e raggiunge il giovane, il quale gli indica qualcosa all’esterno. L’ingegnere si affaccia e aguzza la vista.

La MdP ci mostra ciò che ha tanto sorpreso Danforth: si tratta di un’imponente linea irregolare di coni e pinnacoli rocciosi, che si riescono a intravedere in lontananza nonostante la tempesta. Sono imponenti, nudi, scarni e nerastri. Formano una vera e propria barriera che nasconde completamente alla vista ciò che si nasconde al di là di essa.

Pabodie sembra totalmente rapito dalla visione.

DANFORTH
Non ho mai visto niente di simile, professore.

PABODIE
Neppure io, Danforth. Non avrei mai detto che in natura potessero esistere cime del genere. Se non fosse impossibile direi che sono artificiali.

Anche Atwood e Dyer ora si sono affacciati al finestrino vicino per vedere.

ATWOOD
Mi fanno pensare ai denti di un drago.

PABODIE
Già, fanno spavento.

Dyer scambia un’occhiata perplessa con i due colleghi, lancia un ultimo sguardo alle guglie e infine torna a sedere. La MdP indugia sulla sua figura pensierosa.

Stacco.

SCENA 17 (Esterno, giorno. Campo di Lake)

Vediamo l’aereo atterrare in un vasto piano innevato, operazione di certo non priva di rischi.

Dyer è il primo a scendere, seguito da Atwood, Pabodie e il resto del gruppo.

La tempesta sembra essere diminuita d’intensità, anche se non ha smesso di nevicare. Coperti dai loro giubbotti e con i cappucci tirati sulla testa, i membri della spedizione si dirigono verso l’accampamento di Lake.

E’ sufficiente un’inquadratura per far capire che c’è qualcosa che non va.
Il silenzio regna sovrano, nel campo, come se fosse stato abbandonato. Eppure le tende sono ancora montate e le attrezzature ancora tutte al loro posto.

Iniziamo a sentire una musica in sottofondo: “The Memory” (Steve Roach)

Primo piano di Dyer, perplesso e preoccupato.

DYER (gridando)
Lake!

Si volta verso Atwood e Pabodie, i quali gli rivolgono un’espressione stranita.

Il gruppetto si addentra nell’accampamento.

DYER (gridando)
Lake! C’è nessuno?

Nessuna risposta.

ATWOOD
Ma dove saranno?

Si dirigono verso la tenda più grande, ma poco prima di entrare si bloccano.

PABODIE (allarmato)
Guardate!

La MdP ci mostra ciò che ha insospettito il gruppo, ossia una chiazza di sangue sul terreno innevato, a cavallo della soglia della tenda.

DYER
Mio Dio… Lake!

Dyer entra nella tenda, seguito dagli altri.

L’interno è a soqquadro, come se ci fosse stata una violenta colluttazione. Al centro, sul pavimento insanguinato, giace il corpo martoriato di un uomo. Le braccia sono staccate dal tronco e sul volto è dipinta una deformante maschera d’orrore che lo rende irriconoscibile. Una sottile patina di ghiaccio ha ricoperto tutto il corpo.

Inquadratura dei volti del gruppo, sconvolti dalla vista del cadavere.

ATWOOD
E’ Lake?

Dyer annuisce, senza dire nulla. Deglutendo si avvicina e si china a esaminare il corpo. Un evidente livido viola appare tutto intorno il suo collo, come se fosse stato strangolato con una corda liscia.

PABODIE
Chi può avere fatto una cosa del genere?

Dyer si alza in piedi, stravolto.

DYER
Non lo so… Controlliamo il resto dell’accampamento.

Pabodie ispeziona con lo sguardo l’interno della tenda e si sofferma su un punto in particolare. La MdP ci mostra l’oggetto della sua attenzione: un grosso ripiano da lavoro su cui sono posati diversi attrezzi da taglio, pinze e divaricatori. Una strana poltiglia verde è ammassata in un angolo del ripiano, il quale appare sporcato in più punti dalla stessa sostanza.

Primo piano di Pabodie, che dopo qualche secondo decide di uscire e seguire gli altri.

Stacco.

SCENA 18 (Esterno, giorno. Campo di Lake)

Continua la musica in sottofondo.

Scena in piano sequenza:
Gli uomini di Dyer camminano lungo l’accampamento, lenti e cauti.
Pabodie è giunto davanti una tenda, che apre.
All’interno notiamo le gambe di un uomo disteso su un tavolo da laboratorio, ma dalle ginocchia in poi non riusciamo a distinguere altre parti, essendo completamente ricoperto di sangue. Accanto al corpo notiamo bisturi e altri strumenti simili a quelli trovati nella tenda di Lake.
Leggermente spostato, rispetto al cadavere, riusciamo a vedere anche il corpo di uno dei cani da slitta, anch’esso dissezionato e martoriato.

La scena dura pochi istanti, infatti Pabodie esce subito dopo, trattenendo un conato di vomito.

La mdp supera l’uomo, seguendo il cammino di Atwood, che si sta dirigendo verso un recinto.
Questo appare distrutto, come se uno squarcio fosse stato aperto dall’interno.
Sentiamo qualcuno che tossisce: Atwood si volta a guardare, un altro degli uomini che è uscito da un’altra tenda è chinato per terra in preda ai conati.
L’uomo non ci fa caso, prosegue arrivando fino al recinto.
All’interno ci sono alcuni corpi di cani, radunati vicino allo squarcio.

Dyer raggiunge Atwood, affiancandolo e osservando la scena.

DYER
Il resto dei cani è oltre la tenda di Lake, assieme alla maggior parte degli uomini.

Atwood annuisce, poi i due si guardano a vicenda.
Il primo sta per dire qualcosa, ma viene interrotto dal richiamo di uno degli uomini.

VFC
Venite a vedere!

Entrambi si voltano, il grido proviene dalle loro spalle.
Fine piano sequenza.

Superano una collinetta nevosa, osservando più in basso uno degli uomini chino per terra, a guardare il foro della grotta scavata da Lake.

Ridiscendono la collinetta facendo scivolare gli scarponi sulla neve e raggiungono l’apertura.
Anche Pabodie e il giovane Danforth arrivano dietro di loro.
Possiamo notare le loro facce disgustate non appena arrivano davanti l’ingresso della grotta e il tentativo di tapparsi il naso con le mani, segno che qualche odore sgradevole debba sopraggiungere da sotto.
Sul bordo è conficcato un picchetto al quale è legato una corda che scende fin sotto.

ATWOOD
Dev’essere l’ingresso alla grotta che hanno scoperto.

Dyer avanza per primo, andando a prendere la corda e legandola attorno alla vita.
Gli altri lo guardano un po’ sorpresi.

PABODIE
Non credo sia prudente…

Dyer non ascolta nemmeno la frase, e dopo aver constatato la sicurezza della corda, spicca un balzo verso il basso.

Stacco.

SCENA 19 (Interno, giorno. Grotta)

La musica continua in sottofondo.

Una mano guantata sta scostando della neve da un punto.
Si unisce anche l’altra mano, scavando.
Qualcosa di scuro si intravede sotto gli strati bianchi.
Primo piano di Dyer, che è colui che sta scavando.
Dallo sfondo capiamo che si trova dentro la grotta.

I movimenti rallentano: oltre la neve ha trovato una massa nera, dura.
Poi riprende a scavare, scostando il resto della neve e portando alla luce quella che sembra una testa. Ma non è chiaramente umana, infatti non si distinguono i normali organi come naso e bocca e dai lati si dipartono vari tentacoli, cinque per l’esattezza.
Il tutto ha l’aria di essere estremamente duro e compatto, come se si trattasse di tessuti mummificati da tempo, quasi pietrificati.

Solo adesso la mdp allarga l’inquadratura, mostrando l’area per intero:

La musica aumenta l’intensità.

La creatura davanti a Dyer è posta in piedi, in una nicchia scavata sulla parete della grotta.
Ci sono altre nicchie scavate, dove il ghiaccio sembra essere stato frantumato, ma non ci sono altri corpi.
Le nicchie sono in tutto cinque, disposte a formare le punte di una stella.

La musica sfuma.

Stacco.

SCENA 20 (Est, Giorno – Campo)

Sentiamo in sottofondo: “Soreka” (Shigeru Umebayashi)

Dyer è in piedi, braccia distese lungo i fianchi, a fissare qualcosa davanti a sé. Sguardo duro, quasi irato.

Accanto a sé ha Pabodie, e con una carrellata la mdp inquadra anche gli altri uomini tra cui Atwood e Danforth.
Sono tutti in piedi, chi con sguardo chino, chi rivolto in alto.

Davanti a loro sono stati radunati i corpi dei compagni, ricoperti da strati di tela.
Sono stati messi in fila e solo ora ci rendiamo conto che sono più di una decina i morti.

Nessuno dice niente.

Pabodie ha gli occhi chiusi e sta pronunciando qualche parola tra sé, mentre Danforth appare il più sconvolto e con gli occhi lucidi si allontana dal gruppo.
Dyer lo segue con lo sguardo e lo stesso fa Atwood, amareggiato dalla situazione.

La musica sfuma.
Stacco.

SCENA 21 (Interno, sera. Campo)

Inquadratura della valle.
Il cielo appare leggermente più scuro e le nuvole sopra le vette innevate creano uno spettacolo unico.
La mdp si sposta a inquadrare il campo, dove gli uomini devono essersi rifugiati nelle tende.

Stacco all’interno di una di esse, dove troviamo Dyer e Atwood seduti su dei giacigli di coperte e intenti in una conversazione.

ATWOOD
Dobbiamo andarcene al più presto di qui, Dyer. Non è sicuro.

Dyer sembra riflettere sulla questione.

DYER
Non possiamo semplicemente andarcene senza fare indagini più approfondite. Cosa diremo una volta tornati a casa?

ATWOOD
Ci inventeremo qualcosa. Non siamo riusciti a trovare il corpo di Daniels. Diremo che è impazzito a causa del clima rigido e dell’isolamento e ha compiuto questa strage.

Dyer spalanca gli occhi.

DYER
Come puoi anche solo pensare una cosa simile? Non abbiamo trovato il corpo di quell’uomo e per quanto ne sappiamo potrebbe ancora essere vivo!

ATWOOD
E aver ucciso tutti i suoi compagni. Non hai pensato nemmeno per un istante che potrebbe essere stato lui?

DYER
Ma li hai visti i corpi straziati di quegli uomini? E quelli dei cani, per Dio? Nessun uomo avrebbe potuto fare una cosa simile. Arti e organi letteralmente strappati dai corpi! Ti rendi conto di quello che stai dicendo?

Atwood fa per replicare, ma ci rinuncia, restando a riflettere fra sé.

DYER
E anche ammesso che per Daniels non ci sia più speranza, come possiamo infangare in questo modo il nome di uno studente? Dobbiamo scoprire la verità, Atwood.

VFC (Pabodie)
Sono d’accordo.

Dyer e Atwood si voltano e vedono il collega entrare nella tenda.

PABODIE
Quello che è accaduto in questo campo è un mistero, ma che io sia dannato se non ha a che vedere con quella creatura sepolta nella grotta.

Pabodie si siede accanto a Dyer e si accende una sigaretta.

DYER
Io voglio vederci chiaro. Per i nostri compagni… e per la scienza. Lake non sarebbe contento se sapesse di essere morto invano.

ATWOOD
Cosa proponete di fare, allora? Chi ha compiuto questo massacro potrebbe tornare da un momento all’altro e in tutta sincerità non ho tutta questa voglia di rimanere ad aspettarlo.

PABODIE
E poi…

Dyer e Atwood lo guardano in attesa del termine della frase.

PABODIE
…sono preoccupato per il giovane Danforth. Non ha più detto una parola da stamattina.

ATWOOD
E’ sconvolto al pari di tutti noi. E’ giovane, si riprenderà.

DYER
Abbiamo delle responsabilità riguardo ai nostri studenti, Atwood. Pabodie ha ragione, non sottovalutiamo il problema. Domani mattina cercherò di parlare con Danforth. Piuttosto, cerchiamo di esaminare la situazione. Cos’altro abbiamo oltre ai corpi dei nostri dieci compagni?

ATWOOD
Cani impazziti. Il recinto è stato abbattuto dall’interno e inoltre era stato costruito lontano dall’accampamento. Segno che le bestie davano segno di inquietudine, come del resto stanno facendo adesso i nostri cani. Sono nervosi, irrequieti.

Dyer annuisce. Evidentemente era giunto alla stessa conclusione.

PABODIE
Inoltre mancano numerosi oggetti. Una stufa a benzina, carburante, apparecchiature, libri, torce e batterie, cibo, tende e pellicce…

ATWOOD
E quattro slitte per portare via il tutto.

DYER
Il che ci riporta a escludere che a far questo possa essere stato un uomo solo.

ATWOOD
Ma ci siamo solo noi in questa terra dimenticata da Dio…

DYER
Questo è quello che abbiamo sempre creduto, ma le scoperte di Lake sembrano andare in un’altra direzione.

ATWOOD
Avanti, non puoi credere a esseri vissuti milioni di anni fa… E tantomeno puoi concepire che possano essere sopravvissuti fino ai giorni nostri. Quella cosa nella grotta è solo un ammasso di carne mummificata. Un’importante scoperta scientifica, sicuramente. Ma morta, defunta.

DYER (duro)
Non potevo concepire neppure di trovare Lake e mezza spedizione massacrata in questa maniera, ma mi sono dovuto ricredere.

Atwood incassa il colpo.

PABODIE
Dyer ha ragione, Atwood. Quella creatura sepolta nella grotta è reale e non possiamo escludere che ce ne siano altre qua intorno.

Fa una pausa e volta il capo verso Dyer.

PABODIE
E che possano essere causa di tutto questo.

Atwood si alza dalla sedia con una risata nervosa, poi fa loro un cenno con la mano a indicare che per lui sono tutte sciocchezze.

ATWOOD
Il capo sei tu Dyer. Fate come volete.

Quindi si dirige verso l’uscita della tenda e dopo essersi coperto per bene, esce fuori.

Dyer e Pabodie si guardano, poi abbassano lo sguardo, pensierosi.

Stacco.

SCENA 22 (Interno, giorno. Aereo)

Dyer sta salendo la scaletta di un aereo.
Una volta all’interno troviamo anche Atwood e Pabodie, oltre a Danforth seduto in un angolo.

Dyer e i due colleghi si scambiano uno sguardo e il capo spedizione, dopo aver annuito, si avvicina al ragazzo, sedendosi accanto a lui.

DYER
Tutto bene?

Danforth lo guarda spostando lentamente il capo, rimanendo in silenzio per qualche secondo. Poi fa un breve cenno affermativo, poco convinto.

DYER
So che quello che hai visto, che tutti noi abbiamo visto, giù al campo è una scena raccapricciante. Probabilmente popolerà i tuoi incubi così come farà con i nostri e non riuscirai mai a cancellarla dalla mente… ma adesso abbiamo il dovere di mettere da parte l’orrore che abbiamo provato, di agire da scienziati e scoprire che cosa è successo al professor Lake, a Daniels e agli altri membri della spedizione. Quegli uomini ne hanno il diritto e noi glielo dobbiamo.

Danforth fissa ancora Dyer, in silenzio. Poi prende un lungo respiro e risponde.

DANFORTH
Va bene, professore.

Il portellone viene chiuso e l’aereo si mette in moto.
Lo vediamo decollare nel sole del mattino, poi torniamo su Dyer e Danforth.

DYER
Sii forte, Danforth.

Il ragazzo annuisce e Dyer, dopo un’altra lunga occhiata comprensiva sul giovane, si allontana raggiungendo Atwood e Pabodie.

PABODIE (sottovoce)
Come sta?

DYER (anche lui sottovoce)
E’ scosso, ma se la caverà.

PABODIE
Pensi che abbiamo fatto bene a portarlo con noi?

DYER
E’ meglio che si sia aggiunto a noi nella ricerca. Avere un obiettivo può aiutarlo a reagire, mentre restare nel luogo di quel massacro non avrebbe fatto altro che alimentare la sua angoscia.

Pabodie annuisce, lanciando un’occhiata preoccupata al ragazzo.

ATWOOD
Dove ci dirigiamo?

DYER (ad alta voce per farsi udire anche dal pilota)
Prima faremo una ricognizione a bassa quota, per individuare eventuali tracce delle nostre slitte e delle nostre attrezzature. Se non dovessimo trovare nulla, l’unica direzione da prendere sarà quella che porta verso le montagne che abbiamo visto ieri.

PABODIE
Cosa ti fa pensare che sia la direzione giusta?

DYER
Ieri abbiamo individuato dall’alto diverse piste che portano verso quelli che sembrano dei passi.
Qualcuno si è preso la briga di creare dei passaggi per superare quella barriera di roccia e se c’è qualcosa da scoprire, lo troveremo oltre quelle cime, ne sono certo.

Lo sguardo di tutti si sposta verso i finestrini, da cui si possono vedere i pinnacoli di cui sta parlando Dyer.
La MdP ce li mostra per qualche secondo.

Dissolvenza incrociata.

SCENA 23 (Esterno, giorno. Aereo)

Vediamo l’aereo sorvolare la landa ghiacciata, diretto verso le montagne.
Un’inquadratura ripresa dall’ala del velivolo ci permette di vedere come quelle terre siano rimaste incontaminate da un’infinità di tempo. Solo ghiaccio e neve si scorgono. Nessun segno del passaggio umano.

Stacco all’interno.
Dyer si è avvicinato al pilota e gli sta dando istruzioni.

DYER
Mantieni la rotta verso quelle cime. Attento alle raffiche di vento… e portaci sani e salvi dall’altra parte.

Il pilota annuisce e Dyer si riunisce al gruppo.

Stacco all’esterno con una nuova inquadratura dell’aereo.

Torniamo nell’abitacolo dell’aereo, con un primo piano di Pabodie. Sta guardando fuori dal finestrino, dal quale si intravedono i primi pendii.
Pabodie aggrotta le sopracciglia e cerca di mettere a fuoco qualcosa che ha notato.

Soggettiva di Pabodie: sul fianco delle cime si riescono a scorgere delle figure regolari, dei solidi che non possono essere attribuibili a un’origine naturale.

Pabodie si volta verso gli altri.

PABODIE
Venite a vedere.

Atwood e Dyer si avvicinano a Pabodie. Anche Danforth, seduto poco più indietro rispetto a Pabodie, si affaccia al finestrino.

PABODIE
Là, sulle montagne… Li vedete?

Sentiamo in sottofondo: “Evensong” (Secret Garden)

La MdP mostra nuovamente le montagne, leggermente più vicine ma ancora troppo distanti per distinguere chiaramente i dettagli.

DYER
Aspettate.

Il capo spedizione fruga in uno zaino e ne estrae un binocolo, che usa poi per guardare fuori.

DYER
Incredibile…

Atwood gli strappa quasi il binocolo di mano.

ATWOOD
Fa’ vedere.

Soggettiva del binocolo: sulle montagne si può vedere ora un groviglio di cubi geometrici, bastioni e imboccature di caverne. I bastioni sembrano costituiti da un materiale differente rispetto alla roccia visibile sulla superficie della montagna e la loro forma è assolutamente geometrica. Lo stesso si può dire delle caverne, le cui aperture denotano una forma estremamente regolare, alcune quadrate, altre semicircolari.

Atwood abbassa il binocolo lentamente. Sul suo volto è apparsa un’espressione di meraviglia e incredulità. Scambia uno sguardo con Dyer, il quale sembra tanto affascinato quanto sconvolto dalla scoperta.

La mdp riprende dall’esterno lo spettacolo affascinante.

La musica sfuma.

Stacco.

Scena 24 (Interno, giorno. Aereo)

Il pilota si volta verso gli altri che stanno ancora fissando le montagne.
Possiamo vedere le imponenti rocce oltre i vetri.

PILOTA
Tenetevi forte gente, stiamo per superare un passo stretto, sono costretto a far piegare un po’ questo giocattolo.

Dyer smette di guardare dal finestrino e si avvicina alla cabina.

DYER
Non c’è un modo meno rischioso?

PILOTA
Questo è il primo buco che vedo da quando giriamo qua intorno. Potrei andare più in alto, ma le correnti sarebbero troppo forti.

Dyer annuisce e gli dà una pacca sulle spalle, poi torna a sedersi al suo posto.

Anche gli altri lo imitano.
Danforth si allaccia la cintura, teso.
Atwood lo guarda sorridendo, poi si siede, con molta calma.

ATWOOD
Tutto bene?

Danforth non gli risponde, fissando gli occhi sul finestrino, sempre più teso.

Le mani del pilota piegano la cloche a destra.

L’aereo inizia a inclinarsi.

Pabodie si fa il segno della croce.

Stacco.

SCENA 25 (Esterno, giorno)

L’aereo visto di fronte è leggermente piegato a destra, una delle ali sfiora un ammasso roccioso.

Lo vediamo dal basso mentre passa sopra di noi di traverso.

E finalmente supera il passo, acquisendo la posizione originale.

Stacco.

Pabodie tira un lungo sospiro di sollievo, sorride portandosi le mani agli occhi.
Dyer accanto a lui guarda fuori dal finestrino.

PABODIE
Ragazzi, non facciamolo più per favore. Ho lo stomaco debole.

Si volta verso gli altri, notando che anche loro stanno guardando dai finestrino con aria assorta.

PABODIE
Siete ancora vivi?

Gli altri non rispondono.
Pabodie si alza, avvicinandosi al finestrino dal quale Dyer sta guardando con un sorriso in volto.

Sentiamo in sottofondo “Lost” (Shigeru Umebayashi)

La visuale si sposta all’esterno, come se uscissimo dall’oblò dell’aereo e facessimo una traversata:

Sotto di noi si staglia una città immensa, non riusciamo a vederne i confini.

E’ un labirinto intricato di strutture delle più diverse forme: sferiche, coniche, a piramide, cuboidi.

La mdp scende in picchiata verso il basso, mostrandocele da più vicino.
Ci sono ponti, scalinate a spirale, torri, piazze, ed altre costruzioni di cui non possiamo capirne la funzione: sono delle più disparate forme, alcune arrivano così in alto da sfidare le leggi fisiche. Il tutto è ricoperto dalla neve e dal ghiaccio.

La mdp sfreccia lungo un laghetto ghiacciato, passa sotto un ponte che sembra sospeso per aria, poi sale lungo una scalinata che porta a una costruzione simile a una torre e da qua vediamo l’aereo che sfreccia sopra di noi.

La musica sfuma.

Stacco.

Dyer ammira lo spettacolo con sguardo estasiato, così come gli altri che hanno gli occhi fissi sulla città appena scoperta.

DANFORTH
Non credo ai miei occhi.

ATWOOD
Puoi dirlo forte ragazzo.

Dyer si scosta dal finestrino, andando verso la cabina di pilotaggio.

DYER
Trova un posto dove atterrare.

Il pilota annuisce, virando a sinistra.

PILOTA
Chissà perché, avevo il timore che me lo chiedesse.

Dyer torna indietro sorridendo.

Stacco.

SCENA 26 (Esterno, giorno. Città)

Siamo al centro di una distesa di neve, intorno a noi la città. Dev’essere una piazza

La mdp si sposta da un lato, inquadrando l’aereo che è in discesa verso la distesa.

Con una ripresa dall’alto lo seguiamo nell’atterraggio.
Le ruote sfiorano il terreno, poi si rialzano di qualche metro, infine toccano nuovamente terra e questa volta ci rimangono, andando a fermarsi dopo qualche centinaio di metri.

Stacco.

Vediamo alcuni edifici sontuosi attraverso le lenti di un binocolo.
A guardare è Pabodie, che poi distoglie lo sguardo.

PABODIE
Non si muove niente.

ATWOOD
Questo posto avrà milioni di anni, ti aspettavi una festa di benvenuto?

Pabodie ritorna a guardare col binocolo.

Danforth esce allo scoperto coprendosi gli occhi per il sole. Con fare impacciato guarda dentro lo zaino scendendo la scaletta.

Dietro di lui compare Dyer assieme al pilota.

DYER
Aspettaci qua.

PILOTA
Non ho nessuna voglia di muovermi.

Dyer attende che Danforth sia abbastanza lontano, poi si avvicina al pilota parlandogli a bassa voce.

DYER
Se tra sei ore non ci vedi tornare, torna indietro e dì agli altri di non venire a cercarci.

Il pilota è un po’ sorpreso da quella richiesta, ma dopo un po’ annuisce.

Dyer scende la scaletta raggiungendo gli altri tre.

DYER
Se qualcuno non se la sente di venire, può restare.

I tre uomini si guardano a vicenda, ma nessuno dice nulla.
Infine è Atwood a prendere la parola.

ATWOOD
Direi che possiamo metterci in marcia.

Lui e Dyer si guardano a vicenda per qualche secondo, poi quest’ultimo lo supera, iniziando a muovere i primi passi sul manto nevoso.

Dissolvenza.

SCENA 27 (Esterno, giorno. Città)

La mdp riprende il gruppo dall’alto. Camminano in fila indiana, sono a metà strada tra l’aereo e le costruzioni.
Dinanzi a loro si stagliano dei ruderi di un vecchio edificio il cui tetto sembra crollato. Vediamo infatti solo le mura laterali, che nel loro complesso formano una stella con cinque angoli.

Dyer è il primo ad arrivare dinanzi a quel muro.

La sua altezza è imponente. Vi poggia una mano sopra, contemplando la roccia. I massi che compongono quelle mura sono dei blocchi levigati di grosse dimensioni, sebbene dimostrino l’usura del tempo.

Pabodie lo affianca, avvicinandosi poi a un’apertura simile a una finestra. 

DYER
Quest’arenaria potrebbe essere qua da milioni di anni.

Atwood e Danforth raggiungono Pabodie che scavalca la finestra ed entra nell’edificio.

VFC (PABODIE)
Venite a dare un’occhiata qua dentro!

Anche gli altri due oltrepassano il foro, e infine anche Dyer con una breve arrampicata si addentra tra le mura.

L’uomo si guarda intorno osservando la vastità di quello che doveva essere un tempo un edificio maestoso.
Lungo le mura vi sono varie incisioni, sembrano disegni, ma troppo frammentari e sbiaditi per poter essere comprensibili.

Pabodie si incammina verso il centro dell’edificio passando sopra una lastra dura di ghiaccio.

Dyer guarda per terra perplesso.

DYER
Ehi Pabodie, faresti meglio a restare dove sei.

Pabodie si volta a guardarlo, ma senza smettere di camminare.

PABODIE
Chiunque abbia costruito queste mura doveva essere un esperto nell’architettura, guardate quegli archi come stanno diritti…

Proprio in quell’istante il ghiaccio sotto ai suoi piedi si incrina con una spessa fenditura che fa traballare l’ingegnere.
L’uomo rimane immobile, terrorizzato, guardando il solco profondo che si è creato.

DYER
Lanciategli una corda!

Atwood prende una corda dallo zaino, la sgancia, poi la lancia verso Pabodie.
Quest’ultimo si sposta per poterla afferrare, ma il movimento fa cedere ulteriormente il ghiaccio che questa volta si sbriciola sotto i suoi piedi, così che vediamo scomparire l’uomo verso il basso

DANFORTH
No!

La mdp riprende la voragine dall’alto, mostrandoci Pabodie che penzola nel vuoto tenendosi alla corda.
Atwood scivola in avanti sotto il peso dell’uomo, ma viene aiutato da Dyer che sopraggiunge alle sue spalle.
I due iniziano a tirare, fino a quando Pabodie riesce a mettersi in salvo sul suolo sicuro.
Danforth lo aiuta a rialzarsi porgendogli un braccio.

DYER
Questo posto sarà pieno di trappole naturali come queste. Cercate di starmi dietro.

Primo piano di Pabodie che ancora ansimante annuisce.
Atwood gli dà una pacca sulle spalle e prosegue oltre, seguito da Danforth.

Stacco.

SCENA 28 (Esterno, Giorno. Città)

Sentiamo in sottofondo: “Piano instrumental” (Ryan Daniel)

Con una serie di dissolvenze incrociate seguiamo il cammino dei quattro uomini lungo le meraviglie della città sommersa dalla neve.
Li vediamo attraversare un’ampia scalinata che sembra fare da ingresso a quella che è la città vera e propria, dove le costruzioni si fanno più fitte.
Percorrono una strada circondata da entrambi i lati da strutture ornamentali dalle forme sconosciute.

Dal cielo scende la neve in modo più fitto.

In alto davanti a loro una torre sembra perdersi in altezza a vista d’occhio.
Pabodie la osserva stupefatto con lo sguardo verso l’alto.

Un edificio con terrazze sproporzionate per grandezza.
Colonne che ricordano lo stile greco, ma dalle forme cangianti, ora fini, ora più voluminose ed elicoidali.

Dyer si ferma a prendere una pietra da terra, esaminandolo con aria affascinata.

Un’inquadratura dall’alto ci mostra un paio di edifici che come il primo hanno la forma di una punta a cinque stelle.

Pabodie si avvicina a Dyer, indicandogli alcune torri davanti a loro.

PABODIE
Quelle lassù dovevano essere in comunicazione con dei ponti. E vede quell’edificio? Anche quello doveva in qualche modo essere collegato.

ATWOOD (giungendo alle spalle dei due)
Vuoi dire che questa città era costruita sul cielo?

PABODIE
E non solo… Credo che sotto questa neve ci sia molto più di quanto riusciamo a vedere. Quello che emerge è solo la punta dell’iceberg della civiltà che doveva esserci un tempo!

ATWOOD
Non chiedermi la spiegazione scientifica dei restanti nove decimi sommersi, allora, perché questa volta non saprei proprio dartela.

Le parole degli uomini vengono interrotte da un rumore simile a un ululato, un sibilo, accompagnato a una folata di vento e di neve.

Danforth, che è rimasto più indietro, si volta di scatto per guardarsi alle spalle.

ATWOOD (sorridendo)
Tranquillo ragazzino, è solo il vento che fischia tra le montagne.

Danforth si volta a guardare il fisico che ha appena parlato, ricambia il sorriso senza comunque riuscire a nascondere una certa tensione.
Quindi riprende a camminare e con lui anche il resto del gruppo.

Stacco.

Dyer è fermo, chinato su alcuni detriti che sta esaminando.

Dal cielo continua a nevicare.

Gli altri dietro di lui osservano il capo spedizione.

PABODIE
Cosa cerchi?

DYER
Un’apertura per uno di questi edifici. Se qualcuno è passato di qua, credo avremo più possibilità di trovarlo al riparo dalla neve.

L’uomo afferra una sorta di maniglia fatta di un materiale pietroso, ancorata ad alcune assi di qualcosa simile al legno.
La tira in alto e le assi si sbriciolano quasi.
Gli altri uomini si avvicinano per osservare l’apertura: è un cunicolo quadrato che scende in profondità fino a perdita d’occhio, senza appigli, il fondo completamente buio.

ATWOOD
Faremmo meglio a cercare qualche altro ingresso, che ne dite?

Danforth e Pabodie annuiscono vigorosamente, mentre Dyer lascia cadere per terra la maniglia, deluso.

DYER (tra sé)
Mi chiedo solo chi mai poteva scendere da qua.

La musica sfuma.

Stacco.

SCENA 29 (Esterno, Giorno. Città)

La MdP segue i quattro uomini nel loro girovagare tra le meraviglie dell’antica città. D’un tratto Pabodie attira l’attenzione degli altri.

PABODIE
Guardate!

Sta indicando qualcosa e tutti si voltano in quella direzione.

Si tratta di un arco largo più di due metri e alto almeno quattro, che conduce all’interno di un gigantesco edificio a forma di stella. Il grande corridoio che si intravede, si perde nell’oscurità.

Dyer posa una mano sulla spalla di Pabodie, soddisfatto, poi estrae due torce elettriche dallo zaino. Ne consegna una ad Atwood e tiene la seconda per sé.

DYER
Andiamo.

All’interno il pavimento è fatto di grandi blocchi di pietra, così come le altissime pareti del corridoio. Osserviamo la successione di altri archi che si susseguono, scadenzando l’avanzata del gruppo.

La MdP inquadra alternativamente il volto dei quattro esploratori, affascinati dall’imponente struttura.

DANFORTH
E’ incredibile.

ATWOOD
L’hai detto, ragazzo… L’hai detto.

Il gruppo raggiunge una grande sala, da cui si dipanano diversi altri corridoi.

PABODIE
Forse è meglio segnare in qualche modo il nostro cammino, o rischiamo di perderci.

Dyer annuisce e prende dallo zaino alcuni fogli di carta.

DYER
Danforth, tieni questi.

Il ragazzo prende la carta, senza capire.

DYER
Ogni volta che ci troveremo davanti a un bivio dovrai lasciare un pezzo di carta all’imboccatura del corridoio da cui siamo arrivati. In questa maniera potremo ritrovare la via del ritorno.

Danforth annuisce convinto.

DANFORTH
D’accordo, professore.

Lo studente fa come gli è stato detto, segnalando il corridoio che li ha portati nella stanza dove si trovano ora, poi torna vicino ai suoi professori.

PABODIE
Ottima idea, Dyer. Io stavo pensando a un gomitolo di lana…

DYER
Una tara dei tuoi studi classici, Pabodie.

I due sorridono, interrotti subito dalla sollecitudine di Atwood.

ATWOOD
Coraggio, proseguiamo. Altrimenti il minotauro ci raggiungerà.

Detto questo punta la torcia elettrica in direzione di uno dei cunicoli e si inoltra in quella direzione.
Gli altri lo seguono.

Stacco.

SCENA 30 (Interno. Edificio)

Vediamo il gruppo proseguire lungo i corridoi e le stanze dell’edificio, con Danforth che continua a staccare strisce di carta dai fogli consegnatigli per segnare il percorso.

E’ Dyer a guidare, in testa, mentre Pabodie, a cui evidentemente Atwood deve aver passato la torcia, punta il fascio di luce a destra e sinistra illuminando le straordinarie decorazioni e gli elaborati arabeschi che adornano le pareti.

PABODIE
Non ho mai visto niente del genere. Tecniche murarie di questo livello non sono comparse in Europa o in Medio Oriente se non prima del quinto o sesto secolo. E comunque non avevano neppure un decimo dell’innovazione che si trova in questi bassorilievi.

ATWOOD
Stiamo parlando di disegni sui muri, Pabodie. Non mi sembra il caso di agitarsi tanto.

PABODIE
Scherzi?

Si ferma vicino a una strana decorazione geometrica. Gli altri sono costretti a fare lo stesso.

PABODIE
Guarda questo bassorilievo. La sua complessità è geniale. Sei un fisico, Atwood e non puoi non renderti conto che questi arabeschi denotano un uso di principi matematici estremamente avanzati. La prospettiva, gli angoli…. Tutto è calcolato su base cinque. Come puoi non vederlo?

ATWOOD
Questo posto ti sta confondendo le idee, amico. Se davvero è stato costruito milioni di anni fa, è impossibile che chi lo abitava avesse simili conoscenze scientifiche. Se ci sono principi matematici, in quei disegni, sono frutto del caso.

Atwood strappa la torcia dalle mani di Pabodie e riprende il cammino.

Pabodie guarda Dyer esasperato, ma il capo spedizione scuote la testa facendo segno di lasciar perdere.

Il gruppo si rimette in marcia.

I quattro percorrono qualche metro ancora, poi davanti a loro il corridoio svolta bruscamente a destra.
Da oltre l’angolo riusciamo a percepire una fonte di luce, il che permette a Dyer e Atwood di spegnere le torce.

Svoltato l’angolo ci troviamo di fronte a una sala gigantesca, dall’anomala forma di stella a cinque punte. Grandi archi si aprono in corrispondenza delle punte, da cui partono corridoi simili a quello da cui siamo arrivati.
La stanza è praticamente un pozzo, dato che le pareti si perdono in altezza per una decina di metri almeno, aprendosi poi in un’apertura da cui si può ammirare agevolmente il cielo plumbeo.

Il gruppo avanza con cautela, guardandosi intorno con ammirazione.

Ad altezza d’uomo tutto il perimetro della sala è scolpito in un bassorilievo accuratissimo, raffigurante quella che appare come una sequenza di eventi.

Sentiamo in sottofondo: “Sorrow”

La MdP segue Dyer, che ne osserva diverse sezioni sfiorandole con una mano, in modo quasi reverenziale.

VFC (PABODIE)
Sono arrivati dalle stelle.

Dyer si volta in direzione della voce del collega e lo stesso fanno Atwood e Danforth, entrambi partiti per conto loro nell’esplorazione.

DYER
Cosa?

Pabodie indica le sculture che si trovano davanti a sé.

PABODIE
Credo che questo sia l’inizio del racconto e… guardate.

Il bassorilievo raffigura il pianeta Terra visto dallo spazio e un nugolo di esseri dalle ali membranose che viaggiano compatti verso di esso.

PABODIE
Questo assomiglia al nostro pianeta, vedete i continenti e gli oceani? E loro sono arrivati qui chissà quanti milioni di anni fa…

Primo piano di Atwood, che si lascia scappare uno sbuffo di derisione.

Pabodie lo ignora, spostandosi alla sezione successiva del bassorilievo.

PABODIE
Sembra che per molti anni abbiano vissuto in fondo al mare, costruendo città come questa… Vedete?

Le sculture indicate da Pabodie sembrano mostrare proprio questo.

DYER
E’ incredibile. A quel tempo non esistevano che organismi unicellulari, sulla Terra.

Pabodie annuisce e passa oltre.

ATWOOD
Dyer, ti prego… Non ti ci mettere anche tu. Creature venute dallo spazio? Siamo seri.

DYER
Sono serissimo, Atwood.

Dyer segue Pabodie, il quale ha già superato altri due pannelli.

PABODIE
A quanto pare hanno creato delle masse multicellulari protoplasmatiche che utilizzavano come schiavi, in grado di trasportare pesi colossali. Ecco come sono riusciti a costruire città simili.

DYER
E’ vero… Guarda questa immagine: sembra proprio il luogo in cui ci troviamo ora.

Un bassorilievo raffigura degli esseri dalla forma globosa che trasportano dei blocchi di pietra, controllati dagli esseri tentacolari.
Quello seguente raffigura una città simile a quella in cui si trovano, ma più articolata e se possibile, più strana.

PABODIE
Credo sia la stessa città, e che fosse la capitale. E’ chiaro che a un certo punto devono aver trovato più accogliente la terraferma.

DANFORTH
Questi sono loro?

Danforth sta indicando una scultura raffigurante alcune di quelle creature: dotati di una testa a forma di stella a cinque punte, gli esseri hanno il corpo a forma di botte e sembrano usare come mezzo di locomozione dei tentacoli all’apparenza molto forti e flessibili.

PABODIE
Sì. Qui stanno celebrando una specie di funerale e se l’evento si trova all’interno di questa complessa narrazione significa che non doveva essere così frequente.

DYER
Credi che fossero immortali?

PABODIE
Se non immortali, di certo avevano una longevità fuori dal comune.

ATWOOD
Magari qui era semplicemente morto il loro Presidente… Oppure il Re. Chi può dire se fossero abbastanza evoluti da avere una democrazia?

Dyer e Pabodie guardano Atwood cercando di capire se il suo commento è sarcastico o meno, ma è difficile stabilirlo.
I due proseguono e Atwood va loro dietro con un sorriso beffardo sul volto.

ATWOOD
Ehi, cerco solo di essere d’aiuto…

Primo piano di Danforth, che segue in silenzio i professori. Sembra molto turbato.

PABODIE
Erano coloni. Praticavano l’agricoltura, l’allevamento, lo sfruttamento minerario… Oh, buon Dio!

Pabodie si è bloccato di fronte a una nuova sezione del bassorilievo, in cui vediamo le creature a testa di stella allevare un goffo mammifero nei cui tratti scimmieschi non si può non ravvedere una remota somiglianza con l’uomo.

DYER
Questi sono uomini di Neanderthal.

PABODIE
Già. E guarda qui…

In un’altra parte del pannello è evidente che le creature stanno utilizzando gli umani come cibo.

Danforth geme, e non riuscendo a sopportare quella visione si allontana dal bassorilievo.

DYER
Si nutrivano di esseri umani.

ATWOOD
Ci avrei scommesso… Guardate qui, invece. Finalmente accade qualcosa di interessante.

Atwood ha ignorato quell’immagine inquietante e si è spostato al pannello successivo, dove vediamo giungere dallo spazio un’altra razza di creature, simili a piovre, le quali sembrano dar battaglia agli altri esseri.

DYER
A quanto pare c’è stata una guerra.

PABODIE
Esatto. Queste nuove creature… sembrano dei guerrieri.

Vediamo nel bassorilievo varie scene di battaglia tra gli esseri tentacolari e i nuovi arrivati.

DYER
Hanno ricacciato gli antichi in mare. E nella capitale.

Pabodie si volta verso Dyer.

PABODIE
Antichi?

DYER
Mi sembra un nome adeguato… Erano arrivati prima, in fondo.

Pabodie trova la forza di sorridere.

PABODIE
Già, hai ragione.

I due tornano a prestare attenzione al bassorilievo, esaminando la sezione successiva, che vede gli Antichi nuovamente in difficoltà. Questa volta a causa dei loro schiavi protoplasmatici, però.

DYER
A quanto pare gli schiavi si sono ribellati.

Pabodie annuisce.

PABODIE
Devono essersi evoluti. Forse hanno sviluppato una forma di intelligenza che li ha portati a combattere i propri padroni.

DYER
Già, ma non sembra finita bene, per loro.

Vediamo infatti gli esseri informi ridotti in catene e rinchiusi in celle.

PABODIE
Ma neppure per gli Antichi. Guarda, questa sembra una rappresentazione del globo terrestre, con i continenti così come lo conosciamo oggi. L’unica città segnalata è quella sul continente antartico.

Dyer osserva il planisfero, mentre Atwood, annoiato, prende a vagare per la stanza. Danforth, invece, fissa con desiderio l’apertura sopra le loro teste, attraverso cui si vede il cielo.

La musica sfuma.

DYER
Non c’è traccia neppure di città della seconda razza giunta dallo spazio. Chissà cosa ne è stato di loro.

PABODIE
Forse hanno lasciato il pianeta, chi può dirlo. Questo è l’ultimo pannello e a meno che non ci sia un’altra stanza come questa temo che dovremo tenerci l’interrogativo.

DYER
Forse dovremmo appurarcene. Abbiamo scoperto già tanto, ma le informazioni che abbiamo sono incomplete. Che fine hanno fatto gli Antichi? Questa città sembra abbandonata da millenni…

Atwood interviene nella discussione, con disappunto.

ATWOOD
Cosa stai dicendo, che dovremmo proseguire?

DYER
Credo di sì, Atwood.

Atwood punta un dito accusatore verso il petto di Dyer.

ATWOOD
Se volete addentrarvi ancora di più all’interno di questo edificio, accomodatevi. Io torno indietro.

PABODIE
Non credo sia il caso di dividerci…

ATWOOD
E io non credo sia il caso di continuare a esplorare questo posto. Ci stiamo confondendo solo le idee, qui dentro. Uomini di chissà quanti millenni fa scolpiscono delle storie sulla parete di una stanza e voi la prendete come Vangelo. Vi rendete conto dell’assurdità di quanto avete detto finora?

DYER
Atwood, gli studi scientifici ci dicono che all’epoca in cui questa città è stata costruita gli esseri umani non erano minimamente in grado di farlo. Questo bassorilievo ci spiega ogni cosa…

ATWOOD
Cosa spiega, Dyer? Cosa? Che milioni di anni prima che comparisse l’uomo, sulla Terra già esistevano razze aliene che combattevano tra loro, che creavano schiavi in laboratorio e che si nutrivano di noi? Avanti, Dyer… Quali studi scientifici puoi portare a supporto di questa assurdità?

DYER
Nessuno, Atwood. Ed è il motivo per cui questa è una scoperta sensazionale.

ATWOOD
Ti ricordo che non siamo venuti qui per fare scoperte, ma per trovare chi ha ucciso Lake e scoprire che fine ha fatto Daniels. Ma se voi volete continuare con le vostre esplorazioni archeologiche, fate pure. Io torno indietro.

PABODIE
Potrebbe essere pericoloso, Atwood.

ATWOOD
Non preoccuparti, esimio collega. Ho questa con me…

Atwood mostra una pistola, che evidentemente teneva nascosta in tasca.

Tutti appaiono decisamente sorpresi.

ATWOOD
Ci vediamo all’aereo tra un paio d’ore.

Detto questo, Atwood si incammina verso uno degli archi posizionati in corrispondenza delle punte della sala a forma di stella e prima che qualcuno possa fare o dire qualcosa, il fisico è stato inghiottito dall’oscurità.

DANFORTH
Professor Dyer…

Dyer e Pabodie si voltano verso lo studente.

DANFORTH
Non ho segnato da quale ingresso siamo entrati. Io… non credo che il professor Atwood abbia scelto la strada giusta per tornare indietro.

Primo piano di Dyer, preoccupato.

Stacco.

Scena 31 (Interno, edifici)

Atwood avanza lungo un cunicolo con la pistola in una mano e la torcia nell’altra.
Il passo è spedito, sicuro, fin quando non giunge a una biforcazione mai vista prima. Alle pareti continuano i bassorilievi, ma l’uomo non sembra interessato a essi, quanto alla strada da prendere. Per un attimo si volta indietro, poi si decide a proseguire a destra.

Il corridoio si fa più stretto, il passo dell’uomo più incerto.

La torcia per un attimo si spegne e rimane al buio.

In lontananza un rumore sinistro, simile a quello del vento, dura pochi istanti.

Dopo qualche colpetto la torcia si riaccende.

Atwood si guarda intorno col volto teso, puntando la pistola.

Stacco.

Scena 32 (Interno, edifici)

Il gruppo composto da Dyer, Pabodie e Danforth continua ad avanzare lungo ampi corridoi illuminati dalla luce che proviene dall’alto, dove si aprono delle brecce che lasciano trapelare qualche raggio solare.

Lungo le pareti continuano i bassorilievi e Danforth si ferma per vederne uno più da vicino: è raffigurato un essere dalle dimensioni globose, al cui interno c’è uno degli Antichi.

DYER
Danforth, dobbiamo muoverci. Non possiamo permetterci di studiarli tutti adesso.

Danforth annuisce continuando a fissare quell’immagine grottesca, quindi accelera per raggiungere gli altri più avanti.

Pabodie dà un colpetto a Dyer per indicargli qualcosa che ha notato per terra e i tre osservano: davanti a loro la strada si biforca in due direzioni, a destra e sinistra. Il pavimento però è solcato da una scia, che attraversa entrambe le strade.

DYER
Sembrano tracce recenti.

DANFORTH
Vanno a destra o a sinistra?

Dyer avanza, guardando prima a destra e poi a sinistra. Decide infine di prendere quest’ultima strada.
Danforth strappa un pezzo di carta e lo lascia per terra, poi lo segue assieme a Pabodie.

Il gruppo prosegue lungo un corridoio al termine del quale proviene una luce più forte.
Accelerano il passo come attratti da quella luce.

La strada termina in una stanza circolare molto ampia, sulle cui pareti vi è una scalinata a spirale che sale per diversi metri. Il soffitto di quella che un tempo doveva essere una torre è crollato, e il sole ha così modo di illuminarla a giorno.

Per terra sono sparsi molti detriti.

PABODIE (meravigliato)
Questa è…

DYER (sorridendo)
Quando finirai di stupirti?

PABODIE
Non riesco a capire come questa scalinata riesca a reggersi! Non ci sono blocchi di sostegno, sembra autosostenersi…

DYER
Probabilmente potremo usarla quando usciremo da qua. Dà direttamente all’esterno.

DANFORTH
La scia prosegue!

Danforth segue la scia lasciata sul pavimento, fino ad arrivare per primo su un mucchio di detriti accatastati in un angolo della sala.
Distinguiamo tra questi detriti dei mucchi di legna le cui forme ricordano quelli delle slitte dell’accampamento. Ci sono anche zaini, contenitori vari, una stufa, incerate e attrezzature di vario tipo. Il tutto è legato saldamente da corde, come se fosse stato impacchettato per essere trasportato meglio.

Dyer e Pabodie arrivano alle sue spalle e osservano preoccupati.

DANFORTH
Sono le slitte che mancavano dall’accampamento. E anche questi… li hanno presi da là.

Dyer si avvicina al mucchio di detriti chinandosi per osservare un particolare. Una incerata ha una forma vagamente tondeggiante. La scosta, mostrando al di sotto di essa il volto congelato di Daniels.

Danforth si volta di scatto, portando le mani alla testa.
Pabodie lo fissa shockato, mentre Dyer lo ricopre con la tela.

DYER
Adesso sappiamo dov’è.

PABODIE
Devono averlo portato qua, devono avere usato le scale.

DANFORTH
E’ morto, vero?

Dyer si alza in piedi e posa una mano sulla spalla dello studente.

DANFORTH (sorridendo)
Hanno fatto un fagotto.

DYER
Sarà meglio andare.

Dyer continua a tenere una mano sulla spalla di Danforth, che annuisce continuando a sorridere, ma è un sorriso nervoso. Si lascia voltare dal capo spedizione e assieme a lui si incammina.
Pabodie fissa ancora una volta il mucchio di detriti, poi li segue.

Stacco.

Scena 33 (Interno. Edifici)

I tre camminano per un corridoio dove i detriti aumentano per numero. Il pavimento è costellato di pietre e blocchi di ghiaccio ed è sempre visibile una grossa scia, segno del passaggio di qualcuno.

PABODIE
Stando alla mappa che abbiamo visto sul rilievo, dev’esserci da qualche parte nelle vicinanze l’ingresso per un livello al di sotto della superficie del mare.

DYER
Qualcosa mi dice che seguendo la scia lo troveremo.

Udiamo in lontananza un verso, diverso dai rumori sentiti fin’ora. E’ un verso stridulo, gracchiante, simile a quello di un uccello.

DANFORTH
Abbiamo trovato Daniels e le slitte. Potremmo anche tornare indietro adesso.

Il verso si sente ancora, più vicino.
Dyer si volta verso gli altri e fa cenno di far silenzio.
C’è un rumore di passi rapidi che si avvicinano.

Dyer si sporge oltre un muro, e una figura bianca e sfocata gli passa davanti velocemente.
L’uomo si ritrae spaventato, con Pabodie che lo affianca.

DANFORTH
Cos’era?

Dyer si sporge nuovamente oltre il muro, notando un animale simile a un pinguino, acquattato in un angolo assieme a un altro esemplare di quella specie. I due animali sono però enormi, raggiungono quasi i due metri, e sono completamente bianchi.

PABODIE
Pinguini?

DYER
Sono giganti albini. Ne ho letto una volta, ma dovrebbero essere estinti da secoli.

PABODIE
Da dove vengono?

DYER
Considerando l’assenza di pigmento e gli occhi piccoli come fessure, devono vivere nel sottosuolo, nell’oscurità. Forse là farà più caldo.

DANFORTH
Sembrano spaventati.

PABODIE
Mi domando allora cosa li abbia spinti a tornare in superficie.

Dyer guarda Pabodie, si scambiano un’occhiata preoccupata.

DYER
Sarà meglio lasciarli in pace.

L’uomo prosegue, seguito dagli altri due.

Stacco.

Scena 34 (Interno. Edificio)

Sentiamo in sottofondo “Dark Star” (Delerium)

Atwood sta camminando velocemente lungo un corridoio buio. Solo la luce della torcia illumina il percorso, ma ogni tanto si spegne per poi riaccendersi sotto i colpi spazientiti dell’uomo, che sembra notevolmente provato.
E’ sudato, nervoso, col fiato corto.

A un certo punto si ritrova a faccia a faccia con un muro. La strada si interrompe per proseguire verso l’alto attraverso una strada quasi verticale, impossibile da scalare per un uomo.

ATWOOD
Dannazione!

Colpisce la pietra con un pugno, poi si volta e riprende a camminare sempre più svelto.

Giunto nuovamente a una biforcazione, si guarda intorno alla ricerca della strada giusta da prendere.

In sottofondo si ode un fischio prolungato, che per qualche breve istante sembra vicinissimo a noi, per poi allontanarsi.

Atwood punta la pistola a destra, poi a sinistra, senza però vedere nessuno.

ATWOOD (urlando)
Chi c’è?

Non ottenendo risposta si rimette in marcia, questa volta correndo.

Gli incroci si susseguono uno dopo l’altro, ogni volta diversi, sempre meno familiari e la corsa si fa via via più forsennata.

Anche i rumori si fanno più insistenti, ora lontani e vaghi, ora vicinissimi al punto da farlo voltare di scatto.

Gli occhi sono lucidi, la mano che impugna la pistola è tremante.

La torcia fa le bizze, la luce diventa intermittente fino a scomparire del tutto. Sono vani i tentativi di rimetterla in funzione, non vuole sentirne.

Completamente al buio, avanza a tentoni voltandosi continuamente da un lato e dall’altro.

E’ inquadrato in primo piano il suo orecchio mentre sentiamo un alito di vento simile a un sussurro che sembra pronunciare il suo nome: “Atwood”.

L’uomo si volta, spara un colpo di pistola e indietreggia.

Il piede trova il vuoto.

La strada si interrompe in un cunicolo che scende verso il basso, dove cade rovinosamente emettendo un urlo che echeggia nei corridoi.

La musica sfuma.
Stacco.

Scena 35 (Interno. Edificio)

Dyer, Danforth e Pabodie si fermano, come se avessero udito un forte rumore.
I tre si guardano a vicenda, ma senza dire nulla.

I tre uomini stanno attraversando un tunnel in ripida discesa, in fila indiana.

Si odono in sottofondo i versi dei pinguini.

Superata un’ampia arcata, si ritrovano in un ambiente a forma di emisfero: una stanza circolare dal soffitto concavo sul quale sono presenti rilievi e arcate.
Dentro la stanza, illuminata da alcune brecce che lasciano trapelare fini raggi solari, ci sono altri pinguini ammassati vicino le pareti.

In fondo invece c’è un’apertura ampia e completamente nera.

DYER
Dev’essere quello. L’ingresso all’abisso.

Avanzano lentamente, timorosi, verso quella porta terrificante.
Danforth si ferma, tremante.

DANFORTH
Non dobbiamo entrare.

Dyer e Pabodie si voltano a guardarlo.

DANFORTH
Non dovremmo essere qua. Dovremmo tornare all’aereo.

DYER
Invece dobbiamo proseguire. Se questo qua è solo l’involucro esterno di una civiltà persa da milioni di anni, immagina cosa troveremo laggiù!

PABODIE
Lo dobbiamo a quelli che sono morti.

DANFORTH
Ma vi sentite, sembrate due pazzi!

Danforth ha per la prima volta assunto uno sguardo irato, irriconoscibile.

DANFORTH
Lo avete detto anche voi, è morta della gente! E qualunque cosa li abbia ammazzati, è oltre quell’ingresso!

Dyer lo affronta faccia a faccia, risoluto.

DYER
Sì, potremmo tornarcene adesso, potresti tornartene a casa. Ma torneresti senza risposte. E una mattina ti sveglieresti con la curiosità che ti divora il petto, perché non hai avuto la forza fare qualche passo in più e superare quella soglia. Una soglia che separa la conoscenza dall’ignoranza. Il mondo di ieri da quello di oggi. Tutto e niente! Lo vuoi davvero?

Danforth non risponde, si limita a fissare Dyer.

DYER
Sei libero di fare la tua scelta. E anche tu, Pabodie.

Detto ciò si volta e si dirige a passo sicuro verso la soglia del tunnel, venendo inghiottito dall’oscurità.

Pabodie lo segue, meno convinto ma in modo altrettanto spedito e anche lui scompare alla nostra vista.

Il giovane Danforth si guarda intorno, fissa l’ingresso oscuro e poi la scalinata dalla quale sono venuti.
Socchiude gli occhi, trae un profondo respiro.
Quindi si avvia seguendo la direzione dei compagni, dentro il tunnel buio.

Stacco.

Scena 36 (Interno. Sotterranei)

Sentiamo in sottofondo “Dark Star” (Delerium)

Atwood ha gli occhi chiusi e un rivolo di sangue gli scende lungo la fronte. L’ambiente in cui si trova è molto buio, non riusciamo a distinguere niente a parte la sua figura.

Colto da un improvviso spasmo, apre gli occhi.

Capiamo che è disteso per terra, sopra di lui c’è un cunicolo che sale verso l’alto, quello da cui è caduto.
Si porta una mano alla testa, evidentemente dolorante.
Ma anche la caviglia sembra dolergli, lo capiamo dallo sforzo che compie per mettersi in piedi.

Si guarda intorno per cercare di distinguere qualcosa, ma senza riuscirci.
Allora si china, alla spasmodica ricerca di qualcosa. Le mani poco dopo si posano sulla pistola, che impugna tenacemente portandola vicino a sé, come un oggetto prezioso.

Muove qualche passo nell’oscurità, portando ogni volta il piede più avanti per assicurarsi di avere un pavimento sotto le gambe.
Dei sussurri lo fanno fermare.

ATWOOD
State zitti.

Vediamo la scena dalla sua soggettiva: con la pistola davanti a noi, proseguiamo seguendo il vago percorso disegnato dalle forme delle pareti.

Un rumore di passi che subito sfuma.
Poi una voce, distante, che si trasforma in una risata.

Atwood si mette una mano in testa, come se gli dolesse.

Torniamo alla soggettiva: vediamo un’ombra sfocata davanti a noi, nel buio. L’ombra si fa via via più nitida, assumendo l’aspetto di una creatura mostruosa, dal corpo rigonfio e dalla testa tentacolare.
La pistola spara un colpo a quella figura, che però non si muove.
Ci voltiamo per scappare, ma proprio davanti a noi c’è il volto mostruoso della creatura, con numerosi occhi che ci fissano e i tentacoli che si muovono come serpenti.

Atwood lancia un urlo terrorizzato, indietreggiando.

Adesso lo vediamo dall’alto. E’ solo, nel corridoio buio.

Si volta da un lato e dall’altro, non sembra esserci nessuno a parte lui.

La musica sfuma.
Stacco.

Scena 37 (Interno. Sotterranei)

I tre compagni hanno acceso le torce per illuminare l’ambiente sotterraneo dove si sono addentrati.
Le pareti del corridoio sono più larghe e il soffitto più alto, arcuato.
Dyer si sbottona il giubbotto, sudato.

DYER
Inizia a fare caldo.

PABODIE
Può darsi che ci sia un vulcano sottomarino che riscalda l’ambiente. E’ l’unica spiegazione.

DANFORTH (Indicando i rilievi sulle pareti)
Non notate qualcosa di strano?

Pabodie rallenta osservando delle figure geometriche scolpite sulla roccia. Le linee sono grossolane, profonde, diverse rispetto a quelle che abbiamo visto.

DYER
L’ho visto da quando siamo entrati. Lo stile è diverso, sembra appartenere a una sorta di periodo decadente della loro cultura.

PABODIE
E’ come se qualcuno abbia provato a imitarli.

Dyer si volta verso Pabodie e annuisce.

I tre uomini oltrepassano un ampio ingresso, trovandosi in una sala molto ampia, simile a una caverna.
Balza all’occhio un pavimento di pietra lucida, levigata, priva di detriti.

PABODIE
Saranno passati quelli delle pulizie.

Danforth lancia un’occhiata per nulla divertita all’ingegnere, mentre Dyer si china per terra passando una mano sulla superficie levigata.

DYER
C’è una patina vischiosa, ma non è ghiaccio.

PABODIE
Lo sentite anche voi quest’odore?

Gli altri due annuiscono.

DANFORTH
Già da un po’.

DYER
Ma si fa più pungente.

PABODIE
Da che parte si va adesso?

La sala presenta numerose imboccature che portano ad altri corridoi.
Una di queste però sembra sia stata attraversata di recente, infatti c’è una scia che l’attraversa.
Dyer la nota e si addentra nel corridoio.

La torcia illumina il terreno dove oltre alla scia si intravedono delle chiazze di un colore che non distinguiamo.

Danforth si porta la mano davanti al naso assumendo una smorfia disgustata.

Anche Pabodie punta la sua torcia in basso, fino a quando i due cerchi gialli si posano su dei corpi distesi sul pavimento.

I tre si fermano, cauti. Osservano quelle creature che appaiono immobili e dopo essersi accertati di ciò, gli si avvicinano.

Sono tre corpi degli esseri come quello trovato nell’accampamento. Giacciono tutti nella stessa posizione, come se qualcuno li avesse deposti in quel modo.
Sono chiari dei segni di lotta: ferite, arti strappati, enormi fori nei loro corpi.
La cosa più inquietante è uno spesso strato gelatinoso che li avvolge.

DYER
Tenete gli occhi aperti. Chi ha fatto questo può essere ancora nei paraggi.

PABODIE
Sono tre. Le nicchie trovate nella grotta erano cinque. Escludendo quello che abbiamo trovato mummificato, ne rimane un altro.

DANFORTH
Confortante.

All’improvviso dalla parte opposta del corridoio si sente una risata.
Dapprima flebile, poi sempre più forte.

Dyer e Pabodie si scambiano un’occhiata d’intesa e puntano le loro torce verso il corridoio.
Una figura indistinta si appalesa. E’ un uomo seduto per terra, sembra che stia là già da un po’ di tempo.
La luce della torcia illumina il volto di Atwood che ride fra sé in modo grottesco.

DYER
Atwood. Tutto bene?

ATWOOD
Dyer, amico mio! Presi com’eravate dai tre calamari, non vi siete accorti che ero qua ad ascoltarvi. Non è una cosa curiosa?

Danforth si avvicina a Dyer, preoccupato.

DANFORTH
C’è qualcosa che non mi piace nella sua voce.

Pabodie annuisce, avvicinandosi lentamente e puntandolo sempre con la torcia.
Anche Dyer fa lo stesso.

DYER
Stai bene?

ATWOOD
Benissimo!

Atwood si mette in piedi a fatica, zoppica vistosamente e il viso è imperlato di sangue e sudore.
Nella mano ha sempre la pistola.
Si avvicina loro, osservando le tre creature che ora lo separano dal gruppo.

ATWOOD
Hanno fatto una brutta fine, eh?

PABODIE
Per lo meno adesso crederai…

ATWOOD
Crederò? A cosa? A cosa dovrei credere? Ai mostri?

Nel parlare gesticola, ha degli scatti inusuali, e gli altri tre fissano con preoccupazione la pistola.

ATWOOD
Ci sbagliavamo.

DYER
In cosa?

ATWOOD
Gli Antichi, come li chiami, questi simpaticoni…

Dà un calcio al corpo di una delle creature stese per terra.

ATWOOD
Non sono i padroni di queste caverne. Non più!

DANFORTH
E tu… come fai a saperlo?

Atwood sale sopra le creature, le calpesta fino a superarle e arrivare di fronte ai tre compagni.
Adesso parla sottovoce, senza sorridere.

ATWOOD
Me lo hanno detto. Mi hanno avvertito. Li ho visti, ho visto in faccia l’oscurità e l’oscurità mi ha parlato!

DYER
Perché non mi dai la pistola? Hai battuto la testa, è meglio se la tenga io.

Atwood osserva perplesso la pistola, poi si rivolge a Dyer.

ATWOOD
Pensi che sia uscito fuori di senno, eh? Hai paura che ti spari, Dyer?

Dyer sostiene lo sguardo duramente.

DYER
Dovrei?

In quell’istante si sente un rumore provenire da qualche corridoio poco lontano, come di detriti che vengono spostati velocemente.
Atwood sorride tra sé, sussurrando delle parole in direzione della sua pistola.

ATWOOD
L’oscurità, i servi ribellati, la morte cangiante.

Ancora un rumore, più vicino.

Dyer si avvicina a lui, ma Atwood alza la pistola puntandogliela addosso.

Sentiamo in sottofondo “Dramatic music 2”

ATWOOD
La morte cambia forma, è subdola. I servi si ribellano ai padroni.

Pabodie è colto da un impeto d’ira, e avanza di qualche passo.

PABODIE
Sei solo un pazzo! Lasciaci andare, stanno arrivando!

ATWOOD
Ormai non c’è nulla da fare, esimio collega. Possiamo solo sperare in una morte veloce.

Detto ciò, sposta la pistola su Pabodie, sparando un colpo prima che Dyer gli salti addosso.
Pabodie barcolla all’indietro, per poi cadere fra le braccia di Danforth.

DANFORTH
Professore!

Dyer intanto ha steso Atwood, il quale si dimena sotto di lui.
Ha perso la pistola, a pochi passi da terra.

Pabodie respira a fatica. Una chiazza rossa si rende evidente sotto il cappotto.
Danforth lo fa stendere a terra, tenendo una mano sopra il maglione.

Dyer colpisce con un pugno Atwood, che risponde con una spinta per toglierselo di dosso.

I rumori intanto si fanno sempre più vicini.

Pabodie è ansimante, pallido.

DANFORTH
Stia calmo, professore. Respiri.

L’uomo annuisce, ma ha il fiato sempre più corto.

Atwood sbatte al muro Dyer, afferrandolo per la gola e cercando di strozzarlo.
Dyer prova a divincolarsi dalla presa, ma è in difficoltà.

Un rumore più forte si fa udibile, è un verso che sembra pronunciare delle parole incomprensibili che suonano come “Tekeli-li! Tekeli-li!”.

Pabodie chiude gli occhi dopo un ultimo flebile respiro.
Danforth sta piangendo, ma il suo sguardo viene rivolto ad Atwood che continua a strozzare Dyer.

Primo piano di Atwood, con gli occhi sbarrati e le labbra in una smorfia grottesca.

ATWOOD
La senti la fine che arriva?

Il rumore di uno sparo echeggia nel corridoio.
Atwood allenta la presa sul collo di Dyer, e mantenendo quell’espressione orrenda, si accascia per terra.

Dietro di lui Danforth ha in mano la pistola e respira ansimando.

La musica sfuma.

Dyer si massaggia il collo, per poi rivolgere uno sguardo a Pabodie che giace per terra privo di vita.

Danforth fa un cenno di no con il capo e abbassa la pistola.

Dyer si avvicina e lo guarda riconoscente.

DYER
Grazie, ragazzo.

DANFORTH
Il professor Atwood… Io non avrei voluto, ma stava per ucciderla! E aveva già ucciso il professor Pabodie. Io non potevo…

Il ragazzo china il capo, piangendo.

Dyer posa una mano sulla spalla dello studente e contemporaneamente guida l’altra verso la pistola, lasciando che Danforth gliela consegni.

DYER
Hai fatto quello che dovevi. Non rimproverarti.

Danforth solleva lo sguardo, cercando conforto nel volto sicuro di Dyer.

Il rumore proveniente dal corridoio torna a farsi sentire forte e minaccioso, accompagnato nuovamente dal verso “Tekeli-li! Tekeli-li!”.

Dyer e Danforth si guardano allarmati.

DYER
Andiamocene.

DANFORTH
Ma non possiamo lasciare qui i professori…

Il rumore proveniente dal corridoio è ora talmente forte da rendere tangibile e incombente la minaccia. Qualunque cosa stia arrivando, è vicina e comparirà da un momento all’altro.

Primo piano di Danforth e poi di Dyer, entrambi con gli occhi puntati verso l’apertura. Sembrano combattuti tra l’impulso di fuggire e il bisogno di vedere.

La MdP alterna i loro volti con l’imboccatura del corridoio, finchè da quest’ultima non vediamo emergere uno degli Antichi.

La creatura con la testa a forma di stella si sta muovendo velocemente, spostandosi sui tentacoli e gli pseudopodi che si trovano alla base della sua figura. Sta puntando in direzione di Dyer e Danforth, i quali finalmente sembrano risvegliarsi dal loro torpore.

DYER
Scappa!!

Sentiamo in sottofondo “Dramatic music”

Cominciano entrambi a correre, proprio mentre ci accorgiamo che un’ombra si muove nel corridoio da cui è appena giunto l’antico. Capiamo che lui stesso è inseguito da qualcos’altro.

Dyer e Danforth puntano le torce davanti a loro, illuminando la via di fuga. Non si voltano indietro e cercano di correre più forte che possono.

Al primo bivio individuano la striscia di carta lasciata da Danforth e imboccano quella via.

La MdP inquadra l’Antico alle loro spalle. Non riescono a distanziarlo.

Superano un altro bivio e giungono nella grande stanza a forma di stella e con i bassorilievi. La luce del giorno proveniente dall’alto illumina in maniera sinistra l’ambiente.

DANFORTH
Professore. Qui non possiamo essere certi dell’uscita! Non avevo lasciato il segnale, ricorda?

I due si fermano nel centro della sala e si voltano indietro.

DYER
Lo so, ma credo di ricordare da dove siamo venuti. Devo solo trovare il giusto bassorilievo.

Dalla porta da cui sono appena giunti vediamo arrivare l’Antico e questa volta anche il suo inseguitore. Si tratta di un essere grande quanto il treno di una metropolitana, ma la sua consistenza è completamente diversa: un informe agglomerato di bolle protoplasmatiche, nere e iridescenti, accese debolmente di luce propria e con miriadi di occhi temporanei che nascono, si aprono, si richiudono e si disfano continuamente come pustole verdastre.
E’ da questo ribollire gelatinoso che proviene il verso che già abbiamo udito in precedenza: “
Tekeli-li! Tekeli-li!”.

Il volto di Danforth diventa una grottesca maschera di terrore e anche Dyer questa volta sembra atterrito.

La MdP intanto inquadra l’Antico, che viene raggiunto dall’essere alle sue spalle, il quale lo afferra con delle estensioni che improvvisamente si propagano dal suo corpo multiforme.
L’Antico viene immobilizzato e sollevato a mezz’aria, mentre la sua testa a forma di stella viene lentamente avvolta dalla massa gelatinosa.

Dyer inizia a esaminare freneticamente i bassorilievi, in cerca di quello che potrebbe essere il suo punto di riferimento.

Danforth invece resta immobile, con gli occhi spalancati, a guardare l’Antico catturato.

Il corpo di quest’ultimo si tende, come se fosse di gomma. Poi, d’un tratto, la testa a forma di stella viene strappata dal resto del corpo, restando inglobata nell’ammasso protoplasmatico. La parte inferiore dell’Antico cade a terra con un tondo sordo.

Danforth grida per l’orrore, con un’espressione in volto di pura follia.

La telecamera inquadra Dyer, che sembra aver trovato finalmente ciò che cercava. Alza lo sguardo e individua la porta da cui devono fuggire.

DYER
Danforth! Per di qua!

Danforth non si muove.

Particolare della testa dell’Antico che sparisce all’interno del mostro, il quale sembra ora volgere la propria attenzione verso Danforth. Questo sembra passivamente inerte e sotto shock e non dà segno di essersi in alcun modo accorto del pericolo.

Dyer reagisce d’istinto. Corre verso Danforth, lo afferra per un braccio e inizia a correre verso l’uscita. Il ragazzo, stimolato dalla trazione, segue il proprio professore, senza però dare ancora l’impressione di essere tornato presente con la mente.

Il mostro punta tutti i suoi occhi in direzione dei due fuggitivi e, come una locomotiva che lascia una stazione, si mette in moto per lanciarsi all’inseguimento.

Dyer e Danforth svoltano un angolo, trovandosi presto nuovamente nell’oscurità. Dyer indirizza la propria torcia davanti a sé, cercando di illuminare il corridoio. Nell’altra mano continua a stringere la pistola.

La MdP ci mostra l’essere alle spalle dei due. Udiamo il disgustoso rumore gelatinoso che produce muovendosi, intervallato da qualche saltuario e agghiacciante “Tekeli-li! Tekeli-li!”.

Danforth incespica e riesce a rimanere in piedi per miracolo, ma così rallenta la propria andatura.

DYER
Corri ragazzo, corri!

Per tutta risposta lo studente scoppia in una risata sguaiata e isterica. Da qualche parte dentro di sé riesce però a trovare l’istinto e la forza di ricominciare a correre.

Il mostro si è fatto più vicino, intanto.

Arriviamo a un bivio e Dyer è costretto a fermarsi. Illumina il pavimento in cerca della striscia di carta, puntando la torcia a destra e a sinistra.
La perlustrazione è spasmodica e frenetica, accompagnata dalla risata folle di Danforth e dal suono prodotto dal mostro in avvicinamento.

Primo piano di Dyer, preoccupatissimo.

Particolare del pavimento, su cui il fascio di luce della torcia si muove da un angolo all’altro. D’improvviso riusciamo a scorgere il pezzo di carta e subito il cerchio di luce torna indietro a illuminarlo nuovamente.

Dyer non perde tempo: spinge Danforth e corre in quella direzione.

L’inseguimento continua e Dyer è costretto a fermarsi un’altra volta al bivio successivo, ma in quest’occasione per molto meno tempo, dato che la striscia di carta è ben visibile.

Il mostro si è però fatto ancora più vicino e il professore prova a sparare un colpo di pistola verso di esso.

Il proiettile va a segno, andando a centrare uno degli occhi della creatura, la quale lancia un grido stridulo e assordante.

Questo rallenta il mostro per qualche secondo e i due fuggitivi riescono a guadagnare nuovamente un po’ di vantaggio.

Li vediamo quindi uscire dall’edificio, in campo lungo. L’inquadratura ci permette di valutare di quanto hanno distaccato il loro inseguitore, ossia di circa 20-30 metri.

Dyer si volta e spara di nuovo, tre volte.  Non vediamo, dalla distanza a cui ci troviamo, se i colpi scalfiscono o meno il corpo dell’essere, ma intuiamo di sì dal fatto che questo si ferma per impennarsi come un cavallo imbizzarrito e lanciare il suo grido stridulo.

Danforth ride un’altra volta, rivolto al professore.

Dyer invece non vuole perdere tempo e afferra il ragazzo per i vestiti.

DYER
Andiamo all’aereo, svelto!

I due iniziano a correre lungo le strade della città, con la creatura che riprende a inseguirli.

Con uno stacco ci spostiamo su un’inquadratura dell’aereo, sempre parcheggiato nella grande piazza dove i nostri lo avevano lasciato al loro arrivo. Il pilota è a terra, poco distante. Sta fumando un sigaro.

VFC (Dyer)
Ehi!!

L’uomo solleva lo sguardo e vede Dyer e Danforth uscire da un vicolo e correre nella sua direzione.

DYER
Metta in moto l’aereo, presto!!

Il pilota aggrotta la fronte, perplesso. Poi spalanca gli occhi.

Dalla strada principale vediamo arrivare il mostro, diretto verso la piazza.

PILOTA
Buon Dio…

Il pilota sale in fretta sull’aereo.

Inquadratura su Dyer e Danforth, che corrono a rotta di collo verso il velivolo.

Il mostro raggiunge la piazza.

L’aereo si mette in moto.

Piano americano di Dyer, che si volta indietro a guardare la creatura.

Primo piano di Danforth, che continua a ridere.

Inquadratura in campo lungo: i due hanno quasi raggiunto il portellone dell’aereo, ma il mostro ha puntato il mezzo ed è difficile giudicare se questo riuscirà a partire in tempo.

Primo piano del pilota.

Ripresa dall’interno dell’aereo verso l’esterno, attraverso il portellone. Dyer e Danforth riescono a salire e il professore si affretta a esortare il pilota.

DYER
Presto!!

PILOTA
Cos’è quella cosa?

DYER
Non ci pensi. Faccia decollare quest’affare!

Il pilota inizia la manovra di decollo, mentre Dyer, attraverso lo sportello ancora aperto, svuota il caricatore in direzione del mostro.

Questo sembra arrabbiarsi ancora di più, mentre il suo ribollire aumenta d’intensità e le grida si fanno assordanti.

L’aereo accelera, cercando di raggiungere la velocità necessaria per decollare.

DYER
Più veloce!

PILOTA
Sto già accelerando il più possibile.

Dyer chiude lo sportello, poi si volta a guardare Danforth rannicchiato in un angolo. Decide quindi di andare a sedersi di fianco al pilota, per essergli eventualmente d’aiuto.

Nuova inquadratura in campo lungo: vediamo l’aereo correre sulla pista ghiacciata, con il mostro all’inseguimento. Sta quasi per raggiungerli, quando il velivolo riesce a raggiungere una velocità tale che la creatura non riesce a coprire.

L’aereo si alza in volo, sfiorando il tetto di una delle case ai limiti della piazza.

Inquadratura della piazza in allontanamento, con il mostro nel centro di essa.

La musica termina.

Torniamo all’interno.

PILOTA
Dove andiamo, signore?

DYER
Faccia rotta verso il campo da cui siamo partiti. Le navi dovrebbero ormai essere arrivate… Torniamo a casa.

PILOTA
Ma gli altri membri della spedizione?

DYER
Non c’è più nulla da fare per loro, purtroppo.

Il pilota osserva Dyer per qualche secondo, poi sembra decidere di non fare altre domande.

In quel momento un urlo spaventoso proviene dalle loro spalle.

Entrambi si girano e la MdP ci mostra Danforth che scruta da uno dei finestrini e grida come un forsennato.

Dyer guarda il pilota con fermezza.

DYER
Superi quelle montagne e ci porti via da qui.

Poi si precipita al fianco di Danforth, che si è spostato dal lato opposto dell’aereo e si è messo a sedere con la schiena contro la parete. Sta continuando a gridare.

DYER
Cos’è successo?

Danforth smette di urlare, ma guarda il professore con gli occhi di un folle.

DANFORTH
L’ho visto… L’ho visto!

Dyer si volta preoccupato a guardare dal finestrino, ma non ha la stessa reazione dello studente. Anzi, sembra perplesso.

Soggettiva di Dyer: vediamo all’esterno la città allontanarsi e alle sue spalle la catena montuosa oltre la quale non si sono avventurati. Le nuvole sembrano muoversi secondo strane correnti, su quelle cime, ma non riusciamo a distinguere nulla.

Dyer si volta allora verso Danforth, preoccupato.

Lo studente è seduto a terra e con lo sguardo fisso nel vuoto dondola avanti e indietro, ripetendo continuamente lo stesso verso che ormai ben conosciamo.

DANFORTH
Tekeli-li! Tekeli-li! Tekeli-li! Tekeli-li! Tekeli-li! Tekeli-li!

Primo piano di Dyer, sconsolato per la sorte del ragazzo che ha evidentemente perso il senno.
La MdP stringe sui suoi occhi, lentamente.

Dissolvenza incrociata.

Scena 38 (Interno, manicomio)

Sentiamo in sottofondo: “Soreka” (Shigeru Umebayashi)

Gli occhi del professore sull’aereo diventano quelli dello stesso Dyer, che guarda attraverso lo spioncino del manicomio visto all’inizio del film, sei mesi dopo.
Risalta meglio adesso il cambiamento dell’uomo, che ha un aspetto più pallido e magro, con due ombre sotto agli occhi.

All’interno della stanza imbottita Danforth guarda Dyer con un’espressione deformata dalla follia. Si alza in piedi, continuando a fissare la porta.
Anche il ragazzo risulta estermemante più magro e consumato, bianco come un cadavere.
I capelli sono ridotti a poche ciocche che gli coprono la fronte.

DANFORTH
Professore… Se lo ricorda?
Tekeli-li! Tekeli-li!

Dyer abbassa lo sguardo, incapace di sopportare la vista dello studente ridotto in quelle condizioni.

Si allontana dalla porta, tornando indietro lungo il corridoio che porta verso l’esterno.

All’interno della stanza vediamo Danforth abbattersi sulla porta e gridare attraverso lo spioncino.

DANFORTH
Stanno per arrivare, professore! Lei lo sa! Torneranno sulla terra a rivendicare ciò che è loro di diritto! Glielo dica! Avverta tutti, per quello che può contare!

La MdP scarrella all’indietro, precedendo Dyer che si allontana sempre più dalla porta dietro cui è rinchiuso Danforth

VFC (Danforth)
Tekeli-li! Tekeli-li! Lei non sa cos’ho visto, professore! Il male cosmico! L’eterno immortale! L’abisso! Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl Cthulhu fhtagn!!

Le ultime parole sconnesse di Danforth si perdono in lontananza, mentre Dyer lascia il corridoio.

Seguiamo l’uomo fino al giardino, dove sta ancora piovendo. Prima di avventurarsi sotto l’acqua, Dyer estrae da sotto il mantello un quotidiano che teneva al coperto.
Abbassa lo sguardo per leggere la prima pagina, che la MdP si premura di mostrarci.

Si tratta dell’Arkham advertiser, il giornale locale. In testata leggiamo il seguente titolo: “Nuova spedizione della Miskatonic University in Antartide”

Dyer alza gli occhi al cielo plumbeo.

DYER
Che Dio ci aiuti…

Primo piano di Dyer e zoom in allontanamento fino alla ripresa in campo lungo.

Dissolvenza in nero.

Continuiamo a sentire la musica durante i titoli di coda.

Personaggi e interpreti

Dyer………………………………Tom Cruise
Atwood……….……………………
Sean Bean
Pabodie…………………….…..Jeremy Renner
Danforth…………………. Haley Joel Osment
Lake…………………………..David Strathairn
Daniels…………………….. William Mapother
Douglas………………………Jackie Earl Haley

Regia di
Guillermo Del Toro

Sceneggiatura di
Andrea Carbone e Enrico Delorenzi

Tratto dal racconto di
Howard Philip Lovecraft

Questo film è fittizio e partecipa a un gioco di cinema virtuale senza scopo di lucro.
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www.cinematik.it

Di Giuseppe Bonsignore

Fondatore di Cinematik.it nel lontano 1999, appassionato di Cinema occupa il suo tempo impiegato in un lavoro molto molto molto lontano da film e telefilm. Filmaker scadente a tempo perso, giornalista per hobby, recensore mediocre, cerca di tenere in piedi la baracca. Se non vede più di 100 film (al cinema) all'anno va in crisi d'astinenza.

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